La mostra “Marisa e Mario Merz” al Musée Rath a Ginevra è esattamente ciò che sembra—una semplice storia su loro due. Entrambi abili nei loro linguaggi artistici individuali, eppure fortemente uniti e spontaneamente dolci (vedi Tavolo per Marisa, 2003 e Igloo di Marisa, 1972, che Mario Merz espose nello stesso anno a Documenta). Collaboratori alla pari. Marito e moglie che non si sono mai persi a vicenda tra le sculture, dipinti, installazioni e parole intrecciate nel loro quotidiano.
Nel 1967 Germano Celant curò l'”Arte Povera” alla Galleria La Bertesca a Genova. Con le mostre e pubblicazioni successive, il critico e curatore introdusse il movimento artistico omonimo, che presto diventerà —come se a dispetto delle intenzioni di esso— uno delle più riconosciute “merci esportate” Italiane. Una decina d’artisti in una brevità di dieci anni riuscì a conquistare i libri della storia d’arte per sempre. Ma il racconto dei due membri del gruppo uniti nell’arte e nell’amore cominciò quasi vent’anni prima. Era il 1950 quando Maria Luisa (detta Marisa) Truccato e Mario Merz si guardarono per la prima volta. Si sposarono l’anno stesso e cominciarono di vivere e creare insieme da lì in poi per oltre cinquant’anni.
La mostra organizzata da MAH e sviluppata con la collaborazione della Fondazione Merz, raccoglie grandi opere di Marisa (1926-2019) e Mario (1925-2003), e altre che non sono state mai esposte prima in Svizzera. Curata da Samuel Gross e Beatrice Merz, l’esposizione crea un’occasione per comprendere non solo la grande vicinanza intellettuale e artistica che ha unito i due artisti, ma anche l’emotività armoniosa del loro rapporto che emana dalle nove grandi installazioni perfettamente disposte nello spazio del Musée Rath. Il pubblico ha anche la possibilità di scoprire, per la prima volta, una serie di installazioni ideate da Mario e Marisa insieme, che curatori credono debbano essere viste piuttosto come un autoritratto a quattro mani che una tipica collaborazione.
Durante il tour curatoriale, Samuel Gross menziona l’aspetto per metà intimo e per metà rivoluzionario della mostra e del lavoro del duo in generale. Mario Merz, combattente della resistenza antifascista di origine svizzera, ha sviluppato un lavoro caratterizzato da riflessioni su ciò che ci unisce. Ricordava continuamente la fragilità del nostro inserimento nella natura, la tensione tra natura e cultura—che ha spesso esplorato connettendo la geometria naturale e costruzione umana, le forme che attraversano tutta la sua carriera. Per Marisa l’arte era un mezzo per abbattere la barriera tra la realtà e la nostra intima immaginazione. L’artista si dedicò all’esplorazione delle interazioni fra spazio interiore, identità, vita privata e spazio sociale.
E mentre portavano avanti la loro ricerca personale, Mario e Marisa erano sempre aperti alla contaminazione reciproca. La costruzione critica che si offrirono a vicenda li ha fatti crescere senza fine. E infatti l’azione creativa e le forme che ne derivano – per entrambi gli artisti – non non sono mai finite. Siamo allora nel mezzo dell’intimità e rivoluzione—mentre indaghiamo la profondità dell’interiore, dobbiamo anche rimanere costantemente aperti a ciò che di sconosciuto sta per arrivare. Così come, anche se la visità alla mostra l’abbiamo finita e conclusa, non dobbiamo smettere di vedere le possibilità degli infiniti mutamenti.
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