17 novembre 2023

Israele-Palestina, terremoto a Documenta: si dimette tutta la commissione

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Con un drammatico effetto domino, si dimettono tutti i membri della commissione selezionatrice di documenta: la manifestazione d’arte contemporanea a forte rischio

Fridericianum, Portikus, Kassel © Nicolas Wefers

Un vero e proprio terremoto si è abbattuto su documenta, l’importantissima manifestazione d’arte contemporanea che si svolge a cadenza quinquennale a Kassel, in Germania, e la cui 16ma edizione si svolgerà dal 12 giugno al 19 settembre 2027. Dopo le dimissioni di Bracha L. Ettinger e Ranjit Hoskote dal comitato che aveva il compito di selezionare la nuova direzione artistica, anche i restanti quattro membri hanno deciso di dimettersi. Njami, Gong Yan, Kathrin Rhomberg e María Inés Rodríguez hanno presentato le loro dimissioni giovedì, al termine di quello che è stato definito «Un processo decisionale estremamente difficile».

«Se l’arte vuole tenere conto delle complesse realtà culturali, politiche e sociali del nostro presente, ha bisogno di condizioni adeguate che consentano le sue diverse prospettive, percezioni e discorsi», si legge nella lettera diffusa dai quattro membri nella giornata di giovedì. «La dinamica degli ultimi giorni, con il discredito incontrastato da parte dei media e del pubblico nei confronti del nostro collega Ranjit Hoskote, che lo ha costretto a dimettersi dal comitato di ricerca, ci fa dubitare fortemente che questo presupposto per una futura edizione di documenta sia attualmente possibile in Germania. L’arte richiede un esame critico e multiprospettico delle sue diverse forme e contenuti per poter risuonare e sviluppare la sua capacità trasformativa. Riduzioni categoriche e unilaterali e semplificazioni eccessive di contesti complessi minacciano di stroncare sul nascere qualsiasi esame di questo tipo».

Il caso Hoskote e le dimissioni di Ettinger

La scorsa settimana, infatti, documenta aveva denunciato Hoskote, poeta, critico d’arte e curatore indipendente nato a Mumbai. Hoskote è stato co-curatore della settima Biennale di Gwangju, collaborando con Okwui Enwezor, e ha fatto parte della giuria internazionale che ha selezionato l’Armenia come vincitrice del Leone d’Oro per la migliore partecipazione nazionale alla 56ma Biennale di Venezia, nel 2015. Ma Hoskote è anche un attivista, coinvolto nell’organizzazione di campagne di protesta in difesa delle vittime dell’intolleranza culturale, come quando denunciò le brutalità subite dalle comunità cristiane e dai luoghi di culto in India.

Hoskote è finito al centro della polemica a seguito di un articolo pubblicato giovedì scorso sul quotidiano Suddeutsche Zeitung, in cui si faceva riferimento a una lettera di protesta contro il sionismo e il nazionalismo indù, che aveva firmato nel 2019 e che era stata diffusa inizialmente dai canali di BDS – Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni, la campagna globale a supporto della liberazione della Palestina, che in Germania è stata ufficialmente riconosciuta come antisemita. A seguito della recente ripubblicazione della lettera, Hoskote ha dichiarato di essere contro qualsiasi boicottaggio culturale di Israele ma ha preferito dimettersi dal comitato di selezione di documenta 16: «È chiaro per me che non c’è spazio, in questa atmosfera tossica, per una discussione sfumata delle questioni in gioco».

L’artista, filosofa e psicoanalista israeliana Bracha L. Ettinger, che risiede a Tel Aviv, ha invece attribuito la sua decisione all’impossibilità di partecipare alle riunioni di persona, in seguito all’attacco di Hamas del 7 ottobre, e ha affermato di essere stata spinta a lasciare il comitato dai «Tempi bui» che il suo Paese d’origine deve affrontare. Nella sua dichiarazione, documenta ha affermato di aver preso in considerazione la possibilità di sospendere del tutto il processo di selezione di un direttore artistico, «A causa della particolare situazione mondiale conseguente all’attacco terroristico di Hamas in Israele».

«È questo clima emotivo e intellettuale di eccessiva semplificazione di realtà complesse e delle conseguenti limitazioni restrittive, che è prevalente fin dai tempi di documenta15 e soprattutto sullo sfondo delle attuali crisi che il nostro mondo sta affrontando, che ci rende impossibile concepire un progetto espositivo forte e significativo, e di conseguenza consentire una continuazione responsabile del processo di selezione per determinare un concetto curatoriale per documenta16», si legge nella lettera dei quattro membri dimissionari.

«Nelle circostanze attuali non crediamo che ci sia spazio in Germania per uno scambio aperto di idee e per lo sviluppo di approcci artistici complessi e sfumati che gli artisti e i curatori di documenta meritano. Non crediamo che si possano creare condizioni accettabili a breve termine e riteniamo che sia irrispettoso nei confronti dell’eredità di documenta accontentarsi della situazione attuale».

Israele, Palestina, l’arte: una frattura profonda

In realtà, per documenta la questione risale già a qualche tempo fa, quando il collettivo indonesiano ruangrupa, che curò l’ultima edizione della manifestazione, fu duramente accusato di propaganda anti israeliana e pro palestinese. La polemica che sorse portò alle dimissioni dell’allora direttrice, Sabine Schormann. E negli ultimi mesi, questa frattura si è ampliata, andando a mettere a rischio la stessa fattibilità della prossima documenta. La controversia ha superato ormai da tempo i confini di Kassel, andando a coinvolgere direttamente il parlamento tedesco, con il ministro della Cultura, Claudia Roth, che ha minacciato di tagliare i fondi pubblici per documenta.

Di certo, la credibilità della manifestazione – e la sua stessa possibilità di sopravvivenza – è messa in forte dubbio. Ma dopo l’attentato di Hamas, che ha causato l’uccisione di 1.400 cittadini israeliani e la cattura di più di 200 ostaggi, e la risposta di Israele, che ha portato alla mostra di circa 11mila palestinesi, tutto il mondo dell’arte e della cultura è chiamato a una prova complessa. Il tavolo con la posta in gioco è ben più grande e una riflessione non solo sulle varie reazioni ma anche sulle ingerenze “esterne” e sulla effettiva libertà di opinione e di azione – quando arriva la prova della realtà e della cronaca e si esce dai confini rassicuranti dei musei e delle gallerie – sarebbe doverosa.

La mostra cancellata al Folkwang Museum di Essen

Sempre in Germania, il Folkwang Museum di Essen, uno dei musei d’arte moderna e contemporanea più prestigiosi del Paese, ha recentemente scelto di annullare la mostra in programma della curatrice Anaïs Duplan. La scrittrice, professoressa e curatrice di origini haitiane ha pubblicato su Instagram gli screenshot di un’e-mail inviata dal direttore del museo, Peter Gorschlüter, in cui si informava che l’istituzione aveva deciso di «Sospendere» la «Collaborazione», a causa di una serie di post e commenti pubblicati sul profilo personale di Duplan, riguardanti alla la situazione in Israele e Gaza. «Dal nostro punto di vista alcuni di questi post sono inaccettabili. Questi post non riconoscono l’attacco terroristico di Hamas e considerano l’occupazione militare israeliana a Gaza un genocidio», si legge nella mail inviata dal museo.

 

Visualizza questo post su Instagram

 

Un post condiviso da Anaïs Duplan (@an.duplan)

«Dal 18 ottobre 2023 diversi post relativi all’attuale situazione in Israele e Gaza sono stati condivisi e commentati da Duplan sul canale Instagram. Il 10 novembre su questo account è apparso un post in cui si chiedeva il sostegno alla rete BDS. Il Bundestag tedesco ha classificato questa rete come antisemita», spiegano dal museo, motivando la decisione di cancellare la mostra. E dire che il progetto, intitolato We is Future e originariamente in calendario per il 24 novembre, era incentrata proprio sulla proposta di forme alternative di convivenza, in relazione alle varie emergenze dell’attualità, dal cambiamento climatico alla crisi abitativa. Tra gli autori invitati, artisti, architetti e scrittori, come Bruno Taut, Wenzel Hablik, Elisàr von Kupffer, Eglė Budvytytė, Emma Talbot e Timur Si-Qin.

La posizione scomoda di Mohamed Almusibli alla Kunsthalle Basel

Questa divisione sta coinvolgendo anche altre istituzioni. All’inizio di questa settimana, la Kunsthalle Basel, riconosciuto come uno dei luoghi d’arte più all’avanguardia, ha annunciato Mohamed Almusibli come nuovo direttore, al posto di Elena Filipovic. Ma la Basler Zeitung ha pubblicato un articolo in cui veniva messo in evidenza il supporto di Almusibli alla lettera che chiedeva la liberazione della Palestina, pubblicata da Artforum (quella stessa lettera che portò alle dimissioni del caporedattore della rivista e che ha fatto scoppiare il caso a livello internazionale).

Nell’articolo, si invitava il Basler Kunstverein, l’associazione che gestisce la Kunsthalle Basel, a rispondere a una serie di domande sul nuovo incarico affidato al curatore di origini yemenite. La Baseler Kunstverein ha risposto confermando la fiducia in Almusibli: «La Basler Kunstverein e Mohamed Almusibli condannano tutte le forme di terrorismo, razzismo, antisemitismo, islamofobia, discriminazione, sessismo e altre disumanità».

Centinaia di artisti, critici e galleristi hanno firmato una lettera aperta a sostegno di Almusibli. «Vogliamo esortare il Kunstverein Basel a continuare a sostenere i suoi valori – apprezzati a livello internazionale da una comunità artistica ampia e diversificata – e a offrire a Mohamed Almusibli un sostegno incrollabile contro le crescenti pressioni degli organi politici e dei media locali», si legge nella lettera, firmata, tra gli altri, anche dall’artista italiano Diego Marcon, attualmente in mostra proprio alla Kunsthalle Basel. Tra i firmatari, anche Wu Tsang, Camille Henrot, Sophia Al Maria, Hamishi Farah, Shuang Li e Lydia Ourahmane.

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