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Italics: cosa ricorderemo dell’ultima edizione di Panorama a L’Aquila
Arte contemporanea
Le mostre espanse (su tutte Documenta e la Biennale di Istanbul), seppur impegnative, hanno l’indiscusso valore aggiunto, quando ben organizzate e allestite e con una buona selezione di opere, di offrire uno sguardo diverso alla città che le accoglie, lasciando visitare e conoscere spazi inediti, semisconosciuti o solitamente chiusi. Con la terza edizione di Panorama, Italics ha centrato l’obiettivo. Sicuramente complici un bel sole e una temperatura piacevolissima, l’esposizione, curata da Cristiana Perrella, patrocinata dall’UNESCO e dal Ministero della Cultura, svoltasi a L’Aquila, candidata per Capitale della Cultura 2026, ha messo in mostra numerose opere di indiscussa qualità.
Mappa alla mano, il capoluogo abruzzese è stato così attraversato in lungo e in largo da entusiasti visitatori ben lieti di percorrere, a fine giro, quasi dieci chilometri per scoprire le 20 sedi nelle quali sono stati suddivisi gli oltre 100 lavori dei 60 artisti presentati dalle cinquantasei gallerie coinvolte, a volte messe a confronto con opere moderne o antiche. Dunque, non una semplice cornice ma un prezioso involucro. Non solo luoghi iconici, vedi il Castello Cinquecentesco, ma anche botteghe, librerie, cortili, caffè, cappelle, palazzi nobiliari, pienamente riuscendo a mettere «In relazione arte, architettura, antichità e contemporaneo con il territorio e le sue comunità».
A far la parte del leone, senza tema di smentita, è stato Palazzo Rivera. Nonostante gli interventi di risistemazione non siano ancora conclusi, l’ottimo equilibrio col quale sono state disposte le opere ha fatto ben presto dimenticare i lavori ancora in corso nelle varie sale. E il meraviglioso Sibille (2017-18 – Studio Sales di Norberto Ruggeri) di Davide Monaldi ricopre tutta la parete sinistra dell’ingresso: milleduecento citofoni in ceramica che riportano i nomi di illustri personaggi di qualsiasi campo (prelevati dagli oltre diecimila nominativi selezionati dall’artista nel corso delle sue ricerche) nella speranza di individuare il prometeico personaggio capace di fornire delle risposte agli incessanti dilemmi dell’uomo.
Nelle diverse sale, alcune folgoranti, come quella in cui si ritrovano raccolti l’azzurro neon Patriarchy is History (2019 – Raffaella Cortese Galleria) di Yael Bartana, la scultura La Chioma di Berenice regina d’Egitto (1878 – Bacarelli) di Ambrogio Borghi e Vergine Orante (1779 – Alessandro Di Castro) di Vincenzo Castellini, si incontrano la scultura ambientale Avvoltoio (2019 – Galleria Mazzoleni) di Nunzio; Senza Titolo (2021 – Cardi Gallery) grandi quadri nei quali Marco Tirelli si serve liberamente della fotografia e della pittura; Aprutium (2023 – Gallery Ida Pisani) i meravigliosi disegni in inchiostro blu di Giuseppe Stampone; l’asciutto Senza Titolo, scrivania, luce solare proveniente da finestra o apertura, spotlight, ambiente di lavoro (2014-16 – P420) di Marie Cool e Fabio Balducci; la suggestiva mucca degli still video Xani Xani Xani (2021 – Galleria Tiziana Di Caro) di Shadi Harouni. Poetico e ipnotico è In a Landscape (2017 – Massimo De Carlo), l’enorme “carillon” di Massimo Bartolini, cui l’intero Oratorio di Sant’Antonio dei Cavalieri de Nardis agisce come gigantesca cassa di risonanza.
Come tanti e colorati pozzi apogei, disseminati nel cortile di Palazzo de Nardis, Restrizione Emotiva (2022 – Monitor e Fondazione Elpis) di Lucia Cantò, moltiplica l’ampiezza della corte attraverso le sue lastre riflettenti su cui sono riportate delle frasi pronunciate dagli abitanti dell’antico borgo Malamocco (VE). Mentre perfettamente mimetizzati sulle pareti delle scuderie, sono Pferdehaararbeiten (2010-23 – Studio Trisorio), i “ricami”, come ragnatele e leggeri mandala, di Christiane Löhr.
È l’avvolgente odore di pane la prima cosa che sorprende varcata la soglia del negozio sfitto, allestito con Ai piedi del pane (2023 – Pinksummer) di Luca Trevisani, risultato della performance sempre realizzata dall’artista, col quale sintetizza due elementi che per lui rappresentano l’oggetto più tecnologico della storia (il pane) e le scarpe, che schematizzano la cultura, la storia, le relazioni sociali.
L’installazione RIVOLUZIONE (2023 – Francesca Minini) di Jacopo Benassi ci porta invece all’interno di un negozio di restauro di mobili e il suo lavoro si amplifica nel confondersi con mobili, sedie o cornici dorate. Di raffinato equilibrio, è la “leggera” e suggestiva scultura mobile Gravità (2023 – Galleria Massimo Minini) di Paolo Icaro che taglia a metà l’ingresso del MAXXI L’Aquila.
La colorata e frammentata installazione Il Genio dell’Aquila (2023 – Galleria Continua) di Pascale Marthine Tayou, si distende nel cortile di quello che, fino a non molti anni fa, dopo essere stato un monastero, era un carcere, in cui fonde la propria cultura con quella locale realizzando un totem in vetro.
Definitiva memoria non solo dell’evento, ma anche della radicata inclinazione della città al contemporaneo, sarà data da Enigma della Materia (2023 – Galleria Umberto Di Marino), il mosaico monocromo di Alberto Di Fabio, installato sul corso principale appena superata la Fontana dei Colori, che dovrebbe divenire opera permanente.
Sempre sul Corso, perfettamente integrata con l’ambiente circostante, è la bandiera di colore rosso su cui si staglia la scritta a nastro nera che tradotta indica Noi (2021 – Galleria Peola Simondi) di Emily Jacir.
La scritta volante LET’S TALK ABOUT ART (2023 – Galleria Fumagalli) di Maurizio Nannucci che, a orari prestabiliti, sorvola il cielo terso de L’Aquila, dà il benvenuto. O un caloroso arrivederci.