Jeddah Arts, nell’occhio del ciclone si parla di ambiente

di - 4 Febbraio 2020

La settima edizione di 21,39 Jeddah Arts, iniziativa promossa dall’Art Council dell’Arabia Saudita e sostenuta dal colosso svizzero UBS ha inaugurato la sua settima edizione negli spazi del Saudi Art Council e nella cornice di Al Balad, la vecchia città di Jeddah a oggi ridotta in certe aree anche a macerie, ma che nei prossimi anni sarà completamente rimessa a nuovo grazie alla promessa di intervento del Ministero della Cultura. 21,39 sono le coordinate terrestri entro le quali Jeddah, antichissimo porto del Mar Rosso, è collocata.

Omar Abduljawad, Wahidah, 2020, per I Love You, Urgently, 21,39 Jeddah Arts, 28 gennaio – 18 aprile 2020. © Foto: Abdullah AlMeslmani. Commissionato da Saudi Art Council

Premesse e partner di 21,39 Jeddah Arts

Sotto il titolo di “I love you, Urgently”, attraverso la partecipazione di 21 artisti per la maggior parte provenienti dal Medio Oriente, la curatrice Maya El Khalil (direttrice artistica della ATHR Gallery dal 2009 al 2016) ha costruito un pattern per riflettere sull’emergenza climatica e il global warming, declinando sul tema pittura, installazione e video e invitando a partecipare pittori, architetti, designer, videomaker.

Tutte le opere sono state prodotte per l’occasione dal Saudi Art Council, organizzazione non governativa al cui vertice vi è il creatore di Al-Mansouria Foundation, il Principe saudita Abdoulaziz Al-Saud, e il cui vice-chairman è Muhammed Hafiz, che è anche il fondatore della ATHR, che ha sede proprio a Jeddah.

Se state già mormorando che, dati questi primi elementi, è facile capire come andrà a finire la storia possiamo dirvi che per certi versi sì, la storia finisce che il sistema dell’arte globale sposta capitali, come ben sappiamo, e crea i trend. E l’Arabia Saudita – come abbiamo avuto modo di scrivere in più occasioni – con l’apertura al turismo, sta cercando una modalità di riscatto che abbia un impatto sociale, che tenga cura del passato e abbia l’attenzione focalizzata sulle questioni del presente. E ovviamente il “green” oggi fa più rumore di qualsiasi orribile quadro politico e – a volte accade – sembra si riesca a parlare chiaramente della realtà stando nell’occhio del ciclone: quale luogo meglio di questo per riflettere sui disastri perpetrati dall’uomo ai danni del pianeta?

Tra gli altri partner di Jeddah Arts vi è anche AMAALA, che sarà la più grande destinazione di lusso sul Mar Rosso arabo e che, giusto per fare qualche numero, avrà qualcosa come 2mila e 500 camere, 700 ville, 200 negozi, ristoranti e anche un bel progetto di un Istituto Marino che nascerà “sopra e sotto il livello del mare” per osservare e tutelare l’habitat naturale. Un paradosso bello e buono, al quale però si risponde promettendo “assoluto rispetto” per la natura. Almeno per quella che rimarrà.

Jeddah è una metropoli dal poco fascino, una suburbia infinita sprovvista di qualsiasi mezzo di trasporto pubblico e a farla da padrone, qualsiasi ambiente si frequenti, non è di certo una visione sostenibile. Qui, in ritardo sulla tabella di marcia, sta nascendo anche quello che sarà il grattacielo più alto del mondo, tortile, che supererà i mille metri di altezza sbaragliando il Burj Khalifa di Dubai. Insostenibile peso del paragone.

Dopo queste premesse, però, c’è l’arte che riflette e dà voce a quel che gli uomini non hanno il coraggio di raccontarsi; l’arte che, come una goccia, scava da qualche parte nella coscienza umana.

Le installazioni

L’installazione di Aziz Jamal (nella sede di 21,39 ad Al Balad) risulta essere molto forte: attraverso un’installazione video-fotografica Jamal riflette sul problema dell’acqua nell’area saudita usando le immagini colorate di particolari murali e scultorei di parchi acquatici abbandonati nell’area est della provincia di Riyadh (ma anche guardando fuori dal finestrino, a Jeddah, potrete scoprirne alcuni). Il titolo dell’intervento è 1056%, numero che indica quello che è stato il consumo dell’acqua in Arabia Saudita, numero decisamente poco sostenibile se si pensa che la percentuale di consumo indicata nel periodo dell’antropocene, per far fronte alla scarsità di acqua, si dovrebbe attestare al 20-30% rispetto alle disponibilità.

Aziz Jamal, 1056%, video still, 2019. Courtesy of the artist

Fa un certo effetto anche, pensando alla corsa al cemento che ha trasformato Jeddah in cent’anni da paese di 18mila abitanti (nei primi decenni del secolo scorso) alla metropoli formata da oltre 3 milioni di umani di oggi, la bella sala dedicata a Al-Manakh, You will be missed (2019) del duo saudita di architetti e designer composto da Fahad bin Naif e Alaa Tarabzouni. Al-Manakh è il quartiere di Riyahd (Capitale dell’Arabia Saudita) dove si trova il cementificio Yamamah Saudi.

Attraverso potenti immagini dell’eterno cantiere edile che rappresentano la maggior parte delle metropoli mediorientali, per far fronte all’economia dell’immigrazione di manopera (dal Pakistan e dall’India in primis) e con una una installazione di “oggetti della modernità” e dell’antica natura urbana rinvenuti e messi sotto vuoto Al-Manakh, You will be missed racconta meglio di tante parole quel sentimento di stupore e incredulità che avvolge chiunque si avventuri nell’universo dello “sviluppo”: come è possibile che, mentre mezzo mondo ha fatto dell’allarme ambientale la propria bandiera, l’altro lato sembri completamente cieco di fronte a questo tema?

© Alaa Tarabzouni & Fahad bin Naif, Al-Manakh, You Will Be Missed, 2019. ‘I Love You, Urgently’, 21,39 Jeddah Arts,
28 January – 18 April 2020. Photo: Abdullah AlMeslmani. Commissioned by Saudi Art Council

É una contraddizione aperta, e per questo estremamente interessante da indagare, ed è anche per questo che Jeddah sembra quasi lo scenario ideale per poter resocontare un’idea.

Di nuovo ad Al Balad, un altro lavoro che crea un cortocircuito nella società dell’aria refrigerata sempiternamente al massimo, è il breve video di Mohammad Alfaraj, anch’esso saudita. Attraverso l’estetica delle “immagini termiche”, con HEAT (2019) Alfaraj mostra scenari delle aree più desertiche del pianeta e della loro corsa alla crescita, che potrebbero collassare in breve tempo. Anche stavolta con l’aumento di un’inaridimento generale, anche delle coscienze miscredenti rispetto alla tutela dell’ambiente.

© Sultan bin Fahd, Al Hida’a, 2019. ‘I Love You, Urgently’, 21,39 Jeddah Arts, 28 January – 18 April 2020. Photo: Abdullah AlMeslmani. Commissioned by Saudi Art Council

Ancora al Saudi Art Council la quasi religiosa installazione di Sultan bin Fahd, Al Hida’a: l’artista saudita ha recuperato nel deserto una numerosissima serie di dispenser industriali di acqua abbandonati, di plastica ovviamente, che qui vengono mutati in una sorta di cimitero della memoria, illuminati come a sembrare candele nella notte calda e sabbiosa. Ma la riflessione è più terra-terra: si tratta di riflettere sul paesaggio saudita, in certe aree ormai completamente sfigurato dal consumo e dalla spazzatura. E rientrando in un grande albergo, salendo su un autobus privato, o andando a una inaugurazione fa un poco pensare vedersi offerte, in continuazione, bottigliette d’acqua. Di plastica. Che ancora una volta andrà a finire dove?

Oltre a Jeddah Arts: Hafiz e ATHR Gallery

Non fanno parte di Jeddah Arts, invece, le mostre “Intimate Dimensions” alla Hafez Gallery, e “Durational Portrait: a brief overview of video art in Saudi Arabia” alla ATHR, ma entrambe meritano una visita.

La prima perché, a proposito di sostenibilità, non verrete accolti nel meraviglioso spazio che si trova nella zona di Ar Rawdah da un’opera, ma da una timeline larga due pareti che mostra l’evoluzione della carriera della galleria in soli 5 anni di attività, dalla singola partecipazione a Shara Art Fair (la fiera di Jeddah che, quest’anno alla sua sesta edizione, si tiene sempre negli spazi del Saudi Art Council) agli appuntamenti di Art Dubai o Abu Dhabi Art, producendo e lavorando con 50 artisti in 30 mostre e altrettante partecipazioni internazionali.

Il business, certo, è l’altra faccia di qualsiasi tema dell’uomo, in effetti: arcaicamente era la sopravvivenza, poi è diventato l’accumulo, oggi la libertà incondizionata di disporre di tempo e spazio.

E a proposito di business man eccoci nel regno di Hafiz, il patron di ATHR Gallery e vera “anima” di queste nostre giornate arabe. ATHR si trova in area Aziziyah ed è disposta su due piani di spazio espositivo con una terrazza sovrastante in grado di accogliere una serie di chioschi di street food e una pista da ballo (già, rispetto alla conservatrice Riyadh, Jeddah è la città saudita dove approda l’avanguardia).

Ajlan Gharem, Paradise has many gates, for “Durational Portraits” ATHR Gallery

“Durational Portrait: a brief overview of video art in Saudi Arabia” è una mostra dalla caratura museale, che indaga come la video arte si sia sviluppata nel Paese a partire da un evento epocale quanto drammatico, la Guerra del Golfo. E così, dai primi anni ’90, una serie di artisti sauditi e mediorientali si sono ritrovati come mai prima di allora travolti da una scarica di immagini di violenza, distruzione e strette di mano, di nuove aperture e vecchi problemi. E lo scenario, anche nell’utilizzo del medium è mutato.

Ad ATHR Gallery il grande merito di averci fatto scoprire un filone che difficilmente potrà essere visto in qualche – ancora inesistente – museo saudita del contemporaneo.

Questa è un’altra storia, ancora tutta da scrivere.

Tra poco, invece, vi porteremo ad Al’ ‘Ulà, a scoprire la famigerata e stupefacente “Desert X”.

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Tag: 21 39 arabia saudita ATHR gallery Hafez Gallery I love you urgently jeddah arts Maya El Khalil Muhammed Hafiz Saudi Arabia Saudi Art Council

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