Tempi di magra per tutti, anche per i super artisti e, allora, bisogna correre ai ripari. Nel tentativo di consolidare la gestione delle sue vendite, Jeff Koons – l’artista più ricco al mondo – ha deciso di fare il grande passo: addio alle sue due storiche gallerie, Larry Gagosian e David Zwirner, e bentrovata Pace Gallery.
«Pace ha sempre collaborato con artisti che, come Koons, possiedono una visione originale, dai grandi del XX secolo, che compongono il programma fondamentale della galleria, come Calder, Agnes Martin e Mark Rothko, ai contemporanei Sam Gilliam, David Hockney, Maya Lin, Adam Pendleton, James Turrell e Yoshitomo Nara», commentano da Pace. «L’opera di Koons espande anche l’eredità degli artisti di Pace, come Claes Oldenburg e Coosje van Bruggen, le cui sculture giocose e colossali sono create da un lessico visivo tratto dalla vita di tutti i giorni», continuano dalla galleria blue chip che, ultimamente, sta facendo la parte del leone nella geopolitica dell’arte contemporanea.
Recentemente, infatti, è stata presentata la nuova super sede di Seoul ma, oltre alle strutture architettoniche, Pace sta espandendo anche la sua scuderia. Poche settimane fa, infatti, Urs Fischer, un altro artista molto quotato – non come Koons ma, comunque, uno dei nomi caldi del settore – ha deciso di interrompere il proprio rapporto con Gagosian, entrando a far parte, appunto, della squadra di Pace. In quel caso, galeotta fu l’asta NFT. L’artista svizzero, infatti, ha preferito associarsi a una galleria come Pace, che si è dimostrata più reattiva dei competitor nei confronti di questo nuovo fenomeno, la cui portata è ancora da capire ma che, in ogni caso, rappresenta il tema caldo del momento. E sappiamo quanto, soprattutto di questi tempi, il momento sia una categoria fondamentale, non solo del pensiero ma anche dell’economia.
Se tra Fischer e Gagosian la relazione si è rotta per incomprensioni, tra Koons e le sue due ex gallerie la storia è andata diversamente, anche se le note vicende dell’aspro divorzio con Ilona Staller non avrebbero lasciato presumere un soluzione del rapporto così idilliaca. Già scottato, Gagosian ha commentato al New York Times in maniera un po’ algida: «Sembra una buona misura». Più accomodante Zwirner, che pure, alcuni mesi fa, aveva presentato una opera inedita di Koons per il nuovo progetto espositivo online Studio: «Abbiamo sempre rispettato la libertà di Jeff, è davvero un free agent. Lavorare con lui è stato un immenso privilegio. Auguriamo molto successo a tutti coloro che sono coinvolti nel prossimo capitolo di Jeff». «È uno dei più grandi artisti viventi, che ha cambiato il modo in cui guardiamo la nostra cultura e gli altri», ha commentato Marc Glimcher, presidente di Pace.
E Koons? «Mi è sempre piaciuta l’idea di avere più di una galleria domestica, in modo che le persone interessate al mio lavoro sappiano direttamente dove andare», ha detto l’artista che, nel 2019, passò da Christie’s New York un suo Rabbit (1986) per la cifra record di 91.1 milioni di dollari (quasi a pari merito con l’altro top lot, Pool with two figures (1976) di David Hockney. «Nell’ultimo anno ho riflettuto su ciò che vorrei ottenere con il lavoro della mia vita e, per portarlo al massimo delle sue potenzialità, ho deciso che un cambiamento nell’ambiente in cui è visto e supportato il mio lavoro sarebbe una cosa positiva in questo momento», ha continuato Koons. Di quali cambiamenti si tratta? Potrebbe essere una casualità che Pace Gallery sia stata tra le prima grandi gallerie a seguire molto da vicino la vicenda NFT (come già ufficialmente dimostrato dall’affaire Fischer)? Per il momento sono solo indizi.
In ogni caso, pare che i primi progetti siano decisamente più tradizionali. La prima collaborazione di Pace con Koons sarà una mostra di una singola scultura presso lo spazio che la galleria ha a Palo Alto, nel 2022. Nel 2023, Pace ospiterà quindi un’importante mostra presso la sua galleria principale di New York, dedicata a un nuovo corpus di lavori. Prima, nell’autunno del 2021, aprirà a Palazzo Strozzi di Firenze una grande retrospettiva, con una serie di opere dalla fine degli anni ’70 ai giorni nostri.
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