Nel 1979, quando Andy Warhol terminò la sua Art Car (la dipinse a mano, in 28 minuti, senza compenso), aveva il polso ancora caldo di entusiasmo. Per questo, avrebbe voluto proseguire l’opera sull’automobile di un cittadino bavarese parcheggiata lì nei pressi: «Stiamo scherzando. La mia macchina, fresca di autosalone, non si tocca». Forse quella persona rispose più o meno così ma quello che è più importante è che fece sfumare per sempre la possibilità di possedere un prodotto dell’industria che ha sconfitto il tempo. Questo perché l’automobile soffre, molto più di altri oggetti, il passaggio delle tecnologie, delle mode o del gusto. Ma è sempre possibile ovviare con un buon design, tale da non apparire troppo consumato dagli anni, e la volontà di imprimergli un timbro più duraturo, prolungando il suo valore emotivo ed estetico a tempo indeterminato. È un atto spontaneo: per questo, il documento di nascita della prima Art Car non lo troveremo nei casellari di Corporate Social Responsibility della casa di Monaco. Arriva, invece, grazie a un battitore d’asta e pilota amatoriale, che voleva distinguersi nella 24 Ore di Le Mans con un’auto che non sembrasse troppo “tale”. La fortuna era dalla sua parte: tra i suoi amici c’era Alexander Calder. Così inizia, nel 1975, la storia delle BMW Art Car, che scavalca il 2021 per approdare a Los Angeles direttamente a febbraio 2022, quando Jeff Koons presenterà la sua seconda automobile (la prima era stata realizzata nel 2010), durante le giornate di Frieze.
Sabato 4 settembre, durante un talk alla Pinakothek der Moderne di Monaco, l’artista ha mostrato dallo spioncino qualche dettaglio della sua creazione. A proposito di Calder, Koons esordisce ricordando le sue esperienze personali: da bambino, qualcuno lo portò in cima al Philadelphia City Hall per ammirare la città a 170 metri, accanto alla statua colossale di Alexander Milne Calder (il nonno del futuro e più famoso). È stata quella che definisce un’”esperienza”. E promette di tradurla nell’abitacolo di una quattro porte.
Sappiamo, inoltre, che la sua automobile sarà multicolore dall’esterno all’interno e che sarà decorata con una vernice che, per essere applicata, impiega 285 ore (circa 12 giorni). Infatti, il modello BMW di Jeff Koons non sarà un unicum (come quelle dei suoi predecessori e la prima che ha ideato): sarà invece un’edizione speciale della Serie 8 Gran Coupé, prodotta in pochissimi esemplari. Viaggerà sulle strade comuni e, questa, è la cosa più importante. Perché non vedremo la scocca di ghiaccio e idrogeno di Olafur Eliasson, oppure il prototipo visibile solo a realtà aumentata di Cao Fei. Non vedremo neanche una BMW trasformata in megafono linguistico, che porta a destinazioni ignote frasi come “Lack of charisma can be fatal”, nate dalla mente di Jenny Holzer. Se questo modello sarà venduto, dovrà incontrare i gusti dei suoi acquirenti (pur se pochi e molto esclusivi): questo, renderà il braccio di ferro tra l’arte e le esigenze del design sicuramente stimolante.
Del resto, come ha sottolineato Adrian van Hooydonk, Head of BMW Group Design, le automobili «influenzano la percezione dello spazio pubblico al pari dell’architettura». E la scelta di Jeff Koons, a tal proposito, è sicuramente mirata: un uomo che conosce i materiali della modernità ma – è certo – anche i gusti dei suoi acquirenti.
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