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Jimmy Milani, Esco da qui – Studiolo
Arte contemporanea
“Consenti a te stesso di acquisire il completo controllo della mente, non farti sopraffare dalla tensione emotiva, dall’ansia travolgente, dalla paura che mina il proprio equilibrio e compromette la serenità interiore deteriorando la qualità dell’esistenza. Fai questo passo, cerca la pace!”.
Queste frasi sono incise a laser su due opere installative trasparenti che Milani ha creato per tracciare un percorso preciso nello spazio di Studiolo. Si tratta di un monito importante, che mi riporta all’ultima volta in cui sono stata nello studio di Milano dell’artista, nel quartiere tra l’Ortica e dopo Città Studi. Era da poco scoppiato, in maniera ufficiale, l’attacco russo nei confronti dell’Ucraina e Milani stava ultimando dei lavori. I pensieri positivi facevano fatica ad affiorare, per questo – forse – l’artista si rifugiava dentro a quell’immaginario che, da Studiolo, è descritto come virtuale, non reale. Ma la pittura e le azioni dell’artista sono sempre state così, incasellabili nel reale, o in un immaginario definito. Le sue opere sono infatti in perpetuo dialogo con tanta pittura colta del passato – dai teatrini di Lucio Fontana, alle boutade ludiche di Alighiero Boetti; dai profili grafici di De Dominicis, ai colori piatti del Salvo di seconda generazione -, attualizzata attraverso uno sguardo un po’ profetico, rasserenante e fuorviante allo stesso tempo. È difficile collocare le opere in mostra in un sistema, non si può. Milani è un artista d’altri tempi che cerca, a tutti costi, una solida via per riflettere sul momento, restituendo svariate possibilità.
Jimmy, il percorso espositivo che hai sviluppato da Studiolo è complesso: ci sono elementi d’arredo (quasi urbano), come i muri a mattoncini, in dialogo con le tue pitture. Perché hai deciso di intervenire nello spazio creando un ambiente?
Il pensiero di oltrepassare, scavalcare un ostacolo, è un’associazione metaforica immediata legata alla mia esperienza personale di crescita. Scavalcare un muro per scoprire cosa si cela al di là è il principio dell curiosità, di scoperta e, di conseguenza, di evoluzione o ascesi. Ho voluto che Il percorso espositivo costituito da queste fantomatiche sovrastrutture – “i muretti” – complicasse il normale deambulare del fruitore in una qualsiasi mostra. Ho carcato di indurlo ad essere concentrato su le possibili sovrastrutture, trappole che si creano nel normale movimento fisico o visivo tra un lavoro e l’altro cercando di ricreare all’ interno dello spazio una immediata metafora del nostro vivere quotidiano: uno strano labirinto susseguito di compagni, ostacoli, pensieri e vie di fuga.
“Esco da qui” è chiaramente un messaggio rivolto agli ultimi mesi – anzi anni – vissuti dalla maggioranza delle società. Un messaggio che risolvi restituendo messaggi positivi. È una mostra pensata per alleviare gli spiriti, o per attivare uno sguardo critico?
Non credo sia mio compito o di mio interesse alleviare o criticare. “Esco da qui” è chiaramente una dichiarazione di voler oltrepassare uno stato mentale, personale e poi pubblico, forse conseguente alle moltitudini di fatti catastrofici che ci opprimono quotidianamente. Talvolta mi piacerebbe poter essere un supereroe per salvare il mondo con quello che faccio, ma è impossibile. Questo percorso che ho realizzato è un invito a un’evoluzione, un suggerimento all’uscita da una zona di conforto, un pensiero intimo che sussurro a chi si trova all’interno del mio mondo davanti a questi portali, alle incisioni di queste cornici che, come geroglifici o codici di un varco antico, svelano un luogo misterioso, o indicano una strada ancora non percorsa.
Il tuo rapporto lavorativo e il dialogo con la galleria e con Valacchi e Di Mino è nato tempo fa. Ci racconti gli esordi e le due mostre collettive a cui hai partecipato?
Il rapporto lavorativo con Maria Chiara e Antonio credo sia ormai un rapporto di sana amicizia, fiducia reciproca e rispetto. Stimo il loro intuito e il lavoro di ricerca svolto da Cabinet e Studiolo da quando ero in Accademia di Brera, sono contento che dopo un percorso di conoscenza e dialogo siamo arrivati alla realizzazione della mia prima personale nel loro spazio. Prima con “Gli impermeabili”, poi con la seconda edizione di “NOIXSEMPRE” passando dalla fiera di Verona, siamo arrivati ad “Esco da qui” progetto che ha portato a far crescere ancora di più la fiducia tra le parti, e spero di continuare il nostro dialogo anche in futuro!
Ricordo, qualche anno fa, un talk tra (oggi) ex studentesse e studenti di Brera insieme ad altre/i di Naba, pilotati da Adrian Paci (Naba) e Gianni Caravaggio (Brera). Allora eri agli esordi della tua carriera e del tuo dialogo con colleghe e colleghi con cui, a volte, hai collaborato anche dopo quella mostra a fondazione Pini. Ho sempre pensato che quel valore – lo scambio, il dialogo, il gioco serio, la collaborazione – fosse un valore fondamentale della vostra generazione. Pensi che lo sia ancora adesso?
Da quel piacevole scambio tra le due accademie milanesi più importanti, credo siano usciti artiste\i degni di nota nel panorama italiano di questi anni. Alcuni di quegli scambi e dialoghi sono sfociati in vere e proprie fratellanze, sia creative che umane. Ad esempio per quanto mi riguarda con Giacomo Montanelli e Federico Cantale abbiamo sviluppato nel tempo un progetto chiamato “NOIXSEMPRE”, che ci porta ogni anno a realizzare opere condivise esposte in spazi sempre diversi. Con altre/i artiste/i della mia generazione invece, per i più svariati motivi, il dialogo si è affievolito e, talvolta, trasformato in confronto e scontro. Tutte azioni che possono essere un’efficace spinta per crescere.