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La storia della femminista Judy Chicago in una grande mostra alla Serpentine Gallery di Londra
Arte contemporanea
La mostra Judy Chicago – Revelations, a cura di Hans Ulrich Obrist, visitabile fiano all’1 settembre 2024 alla galleria Serpentine North di Londra, è la più grande retrospettiva in un’istituzione londinese nata a Chicago nel 1939, pioniera dell’arte femminista a livello internazionale, “madre nobile” di una nuova concezione dell’arte fatta da donne, sulle donne e per le donne.
Il nome della mostra si lega al manoscritto omonimo, scritto da Chicago a partire dal 1974 e di cui sono stati esposti per la prima volta alcuni disegni. Revelations è un racconto della creazione il cui focus è sul punto di vista femminile, con la donna in quanto generatrice di vita: alla creazione segue però un confronto apocalittico proprio fra l’uomo e la donna, una resa dei conti che nasce da due visioni diverse della vita.
La mostra è organizzata su cinque sezioni tematiche, con una concentrazione sul disegno, che è il medium più vicino al sentire dell’artista. Nonostante la multidisciplinarietà della sua ricerca, Chicago ha infatti mantenuto un rapporto importante con il disegno: ogni fuoriuscita dalle tecniche tradizionali si lega alla volontà di portare la potenza creativa al di là delle strutture preesistenti di origine maschile, frutto di una visione solo parziale dell’arte e in generale del mondo culturale.
Fondatrice del primo Feminist Art Programme alla California State University di Fresno, Chicago si è contraddistinta nei decenni per una pratica volta a creare la rappresentatività dell’artista femminile all’interno di uno scenario, quello losangelino, da lei definito “inospitale”. Ciò ha richiesto anche un’importante ricerca storica volta a trovare tutte quelle artiste che l’hanno preceduta e che si sono trovate di fronte alle stesse discriminazioni legate al genere. Il punto di forza del percorso espositivo è proprio nel lavoro documentario e nella narrazione dei materiali proposti, in grado di restituire l’ampio spettro delle pratiche di Chicago, dando vita a una mediazione particolarmente riuscita sui contenuti dell’artista. Il pensiero dell’artista, la sua crescita e il suo processo creativo sono documentati attraverso l’esposizione degli appunti di Chicago, dei suoi bozzetti e dei suoi racconti.
Questo vale anche per The Dinner Party, l’opera più celebre dell’artista. Si tratta di un’installazione che celebra proprio tutte quelle donne – più precisamente, 1038 – che l’artista ha rintracciato nella sua ricerca. L’esigenza di guardare al passato per costruire una storia alternativa a quella proposta canonicamente si lega, come racconta Chicago, a una lezione seguita all’UCLA del corso Intellectual History of Europe, dove il docente ribadì che non esistevano contributi artistico-culturali prodotti da donne. Il lavoro è stato esposto proprio al Centre for Feminist Art. Da questo progetto e dalla collaborazione con l’artista Miriam Schapiro nasce la Womanhouse, il luogo in cui il Feminist Art Program assume le sue forme performative e installative.
Nel percorso espositivo si possono trovare i bozzetti, i work in progress e anche gli appunti di Chicago su The Dinner Party, oggi al Centre for Feminist Art del Brooklyn Museum. Riprendendo il format della celebre Ultima Cena leonardesca, Judy Chicago ha progettato un piatto in ceramica per ognuna delle figure storiche presentate la cui decorazione riprende, in un pattern, il motivo dei genitali femminili, cosa che ha suscitato particolare scandalo all’epoca. Colpisce, in particolare, una testimonianza video della discussione al Congresso su The Dinner Party riguardo la decisione su una sua collocazione definitiva al termine del tour mondiale dell’opera. Nel video, il senatore repubblicano Robert Dornan ne parla in maniera apertamente ostile, definendo quest’opera “pornografica”, nonostante né lui né gli altri partecipanti al dibattito avessero mai visto l’opera di persona.
La scelta di lavorare con la ceramica, in The Dinner Party e non solo, si lega alla volontà di Chicago di ridare valore a tutte quelle pratiche creative che, in quanto tipicamente femminili, non sono state considerate degne di attenzione in campo artistico. Un altro esempio è la serie delle Broken Butterflies/Shattered Dreams, contemporanea a The Dinner Party, in cui l’artista racconta le proprie ansie e paure attraverso la rottura della porcellana, ponendo i resti in scatole foderate in raso.
Un’altra ricerca che è stata portata avanti dall’artista è quella nel campo della pirotecnica, che è stata considerata prettamente maschile. La serie di opere che ne è nata è intitolata Atmospheres ed è stata allestita attraverso l’utilizzo di schermi in grado di avvolgere il fruitore tra i fumi colorati delle opere di Chicago, riuscendo a restituire l’immersività di questo tipo di lavori. Chicago aveva definito Atmospheres come un modo per liberare il colore dalle rigide strutture della pittura e del disegno, i medium con cui sino a quel momento aveva maggiormente sperimentato. La sezione sulle Atmospheres risulta la parte più riuscita del percorso espositivo, sia per la capacità di unire il materiale documentario – le fotografie e i testi di Chicago – e le opere, sia per l’impatto visivo del confronto fra i diversi schermi con altrettanto diversi video della serie, avvolgendo il fruitore tra i fumi pirotecnici del colore liberato.
L’allestimento della mostra è inoltre dominato da due opere imponenti. La prima è Birth Project, 1982, un racconto della creazione dal punto di vista femminile, che riporta Chicago a lavorare con i Prismacolor, il medium cui l’inizio della sua carriera è stato maggiormente legato. L’opera è ciò che invita lo spettatore a entrare nella mostra, come la porta d’ingresso di una città monumentale.
Il secondo rappresenta un esempio di allestimento particolarmente riuscito, anche questo legato alla volontà di ridare valore a una pratica considerata tradizionalmente di poco conto in quanto femminile: l’arte tessile. What If Women Ruled the World? (2022), creato in collaborazione con Nadya Tolokonnikova delle Pussy Riots, è un quilt comprendente una serie di contributi collettivi combinati assieme per immaginare come potrebbe essere un mondo gestito al femminile. Non è l’unica opera tessile del percorso, in quanto sono esposti anche dei lavori su batik, ma questo è quello che, per dimensioni e concetto, colpisce particolarmente. Si propone, attraverso le variegate testimonianze raccolte, una concezione di mondo e di futuro non più maschio-centrica, portando a una rimessa in discussione di ciò che diamo per scontato sulla nostra visione delle cose.
Si può notare una volontà di rendere la mostra quanto più dinamica per il fruitore, fra materiale documentario, interazioni attraverso la realtà aumentata e possibilità per i visitatori di registrare dei video; tuttavia, ciò non è apparso particolarmente enfatizzato dall’allestimento, risultando in una percezione solo parziale del potenziale partecipativo del progetto espositivo.
Sono inoltre stati resi disponibili ulteriori materiali online, tra cui una serie di interventi di personalità come Maria Grazia Chiuri, stilista con cui Chicago ha lavorato in più occasioni, Massimiliano Gioni, noto curatore italiano, la critica d’arte e scrittrice Lucy Lippard. La collaborazione con la già citata Maria Grazia Chiuri – presente anche tra le testimonianze di What If Women Ruled The World? – e Dior si lega al progetto The Female Divide (2020) che è consistito nella realizzazione di un’architettura che, invece di portare avanti un’estetica fallocentrica quale è tipica dell’architettura, parte invece dalla rappresentazione del corpo femminile e dalle sue strutture. Scelta particolarmente emblematica è stata la costruzione di questa struttura all’interno del Musee Rodin di Parigi, in occasione della sfilata di Dior della collezione primavera-estate 2020.
La presenza di Chiuri e Dior, tuttavia, è forse raccontata in maniera eccessivamente preponderante, in quanto in alcuni momenti sembrava in contrasto con la caratterizzazione politica di Chicago. Un’artista così politicamente impegnata e da un profilo così netto rischia di vedere il proprio messaggio ammorbidito dai tessuti delicati dell’industria dell’alta moda, i cui processi e metodi non rimettono in discussione né il capitalismo criticato da Chicago né la concezione della donna legato al male gaze che tanto caratterizza questa industria.
La mostra si dimostra, nonostante ciò, in grado di mostrare le diverse sfaccettature di Chicago a un pubblico ampio e non necessariamente specializzato.