Keith Haring: il più amato dei Graffitisti torna a Monza

di - 13 Ottobre 2022

Nel 2007, 24 pannelli del murale realizzato da Keith Haring (1958-1990) per l’Haggerty Museum di Milwaukee furono esposte a Monza. A trentadue anni dalla sua prematura scomparsa per Aids , l’elfo dei writer anticonformista più celebrato al mondo, torna in Brianza con la mostra non didascalica “Keith Haring. Radiant Vision” all’Orangerie di Villa Reale, con la direzione artistica e di produzione di Beside Studio, dopo un mini tour negli Stati Uniti.
Il suo linguaggio visuale universalmente riconoscibile dallo stile immediato e gioioso, è popolato di personaggi che irradiano allegria, angeli, cani, televisori, mostri, figure dei cartoon e piramidi, dai colori primari, ispirati alla pubblicità. Piace ai bambini di tutte le età la sua iconografia apparentemente infantile, che in realtà veicola messaggi sociali, quali, razzismo, capitalismo, la droga, il riarmo nucleare, l’Aids, la libertà sessuale e l’emancipazione omosessuale; questi e altri argomenti scottanti Haring li esorcizza con omini o figure danzanti che inneggiano all’amore fisico e platonico e alla felicità di vivere.
Influenzato da Warhol e da artisti come Picasso, Klee, Pollock, Haring in seguito agli incontri con Pierre Alechinsky e Jean Michel Basquiat ha trovato il suo codice in forme contornate da un bordo nero o bianco che richiamano a un immaginario legato all’infanzia. Per l’artista la pittura era una performance, un processo creativo che va condiviso con il pubblico, agisce in strada e alla luce del sole, davanti ai passanti che possono fermarsi a guardare mentre dipinge i murales.

Keith Haring, Radiant Boy, Villa Reale, Monza, Ph. Patrizia Scolletta/ L’altroSCATTO

Sono simbolo di vita e di energia le sue icone stilizzate e bidimensionali, diventate brand versatile, colorato e giocoso, riconoscibile per codici tutt’altro che banali da approfondire nella mostra monzese di oltre 130 opere (litografie, serigrafie, disegni su carta, manifesti provenienti e fotografie ) da una collezione privata americana. In questa mostra si evidenzia la sua creatività deflagrante che si appropria di spazi e oggetti e trascende i mezzi espressivi tradizionali, in cui anche i materiali di scarto, carta, plastica si trasformano in opere.
Francesca Biagioli, la direttrice creativa responsabile dell’allestimento, ha evidenziato con questa mostra l’impegno sociale di Keith Haring, affetto da una furia creativa inarrestabile che lo portava ad appropriarsi di spazi, oggetti e materiali diversi, anche in maniera non lecita, riconoscibile per una energia vitalistica contagiosa. Sono noti i suoi graffiti non autorizzati in metropolitana e i manifesti contro il crack commissionati dalle istituzioni newyorkesi e per le collaborazioni con importanti brand commerciali –da Swatch a Honda. Le sue opere non nascono per le gallerie o musei ma fuori dai luoghi tradizionali, e solo in seguito entrano nel mercato dell’arte.
Haring è il padre della Street art in bilico tra cultura pop e suggestioni arcaiche, in cui legale e illegale coesistono. Sono unici i suoi pittogrammi, graffiti generati della cultura underground dei centri sociali, murales all’insegna dell’hip pop, passando dalle fanzine e il fumetto. Tutto è comunicazione, provocazione e ribellione, il gioco si fa segno, opere per sensibilizzare chi le guarda su temi sociali e politici con allegra ironia, dove il talento comunicativo si coniuga con commissioni commerciali.

Keith Haring, Radiant Boy, Villa Reale, Monza, Ph. Patrizia Scolletta/ L’altroSCATTO

La mostra all’Orangerie a Villa di Monza, pessimamente illuminata, è suddivisa i diverse sessioni in ordine non cronologico, ed è concepita come un immersine totale nel suo giocoso universo degli opposti, in cui attira una gigantografia dell’artista e la stupefacente Medusa Hed, la più grande stampa mai realizzata dall’artista, grazie a una macchina di tre metri messa a sua disposizione dal tipografo danese Borch Jensen, in cui si adatta la mitologia alla necessità di rappresentare la cattività dell’Aids. C’è una sezione esilarante dedicata al Pop Shop, un negozio creato da Haring nel 1985 che continuò ad esistere fino al 2005, dove sono raccolti i sui ‘souvenir’, messi in commercio dall’artista a poco prezzo, oggi opere d’arte museificate dal costo inaccessibile, come zainetti magneti, buste, borse in tetrapack, spille, e sacchetti di carta, contrassegnati da irresistibile coloratissimi ominidi stilizzati, animali e simpatici mostriciattoli, realizzati con l’obiettivo di fare arte per tutti. Muri, cartoline, fogli di carta, corpo umano: l’arte si fa con tutto e dappertutto, anche sulla copertina di LP, per esempio della compilation A Very Special Christmas del 1987, con brani di Madonna, Bruce Springsteen e altre pop star, in cui compare sulla cover una Vergine con bambino in stile Haring.

Keith Haring

Sono di una armonia compositiva indiscutibile i suoi disegni a gessetto, e chi non conosce il suo famoso radiant boy, simbolo del futuro, della vita. Ci sono i disegni che documentano il suo impegno civile, il suo operare a favore di cause sociali, inquieta la serie Apocalypse, realizzata con William Burroughs, guru della Beat Generation: dieci immagini affiancate ai teschi dello scrittore, in cui si mescolano in un inferno dantesco surreale icone della storia dell’arte, tra Bosch e vandalismo pop. Sono uniche le opere documentano la sua amicizia con Wharol e Basquiat. Chiude il percorso espositivo l’esposizione di opere poco conosciute dedicate alla sua dedizione verso i giovani, alla loro creatività, e la sua disponibilità e fiducia nel futuro è forse l’eredità più importante di un artista che nell’amicizia e nella solidarietà ha trovato l’energia della sua arte democratica. Non perdetevi i disegni l’omaggio a Haring di Paolo Parisi, disegni che rielaborano il suo tratto radiante.

Jacqueline Ceresoli (1965) storica e critica dell’arte con specializzazione in Archeologia Industriale. Docente universitaria, curatrice di mostre indipendente.

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