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Keith Haring ritorna a Pisa, con una grande mostra a Palazzo Blu
Arte contemporanea
Un dipinto murale dalle dimensioni monumentali e dallo stile super contemporaneo, su un storico edifico di culto: non sono poi così numerosi gli episodi in cui questo dialogo si è concretizzato e, infatti, Tuttomondo rappresenta un caso unico. La grande opera di 180 metri quadrati realizzata nel 1989 da Keith Haring sulla parete esterna della canonica del convento di Sant’Antonio diventò subito un’icona di Pisa – ma non solo, a giudicare dalle innumerevoli riproduzioni su magliette e poster – e, oggi, la città toscana rende omaggio all’artista statunitense con una grande mostra che ne ripercorre la vita e la ricerca, realizzata da Fondazione Pisa, in collaborazione con MondoMostre.
In apertura il 12 novembre 2021 e visitabile fino al 17 aprile 2022, a Palazzo Blu di Pisa, la mostra, a cura di Kaoru Yanase, presenta una ricca selezione di opere, oltre 170, provenienti dalla Nakamura Keith Haring Collection, la collezione personale di Kazuo Nakamura, che si trova nel museo dedicato all’artista, a Hokuto, in Giappone. Si tratta peraltro della prima volta che la collezione di Nakamura viene esposta in Europa.
Dai primi lavori fino agli ultimi, l’esposizione racconterà tutta la storia del grande artista, nato a Reading, in Pennsylvania, il 4 maggio 1958 e considerato tra i padri della street art, iniziando dai disegni in metropolitana, i Subway Drawings (1981-1983) che restano tra i suoi lavori più noti e acclamati, fino al portfolio delle 17 serigrafie dal titolo The Bluprint Drawings, la sua ultima serie su carta che riproduce le prime e più pure narrazioni visive nate nel 1981, pubblicata nel 1990, un mese prima della sua morte. In mostra, molte serie complete quali Apocalypse (1988), Flowers (1990) e svariati altri disegni e sculture, nonché grandi opere su tela come Untitled (1985).
Riconosciuto in tutto il mondo per il suo stile unico dai colori vivaci, trasportato anche in oggetti di design come gli irresistibili orologi Swatch, i lavori di Haring sono familiari anche a chi non conosce la sua breve parabola artistica, perché i suoi omini stilizzati e in movimento, i suoi cuori, i suoi cani e i suoi segni fanno parte dell’enciclopedia visiva contemporanea.
Il percorso di mostra, allestito nelle sale di Palazzo Blu dagli architetti di Panstudio, si divide in nove sezioni: dal “PRINCIPIO”, in cui si raccontano gli inizi e la vita nella città di New York, dove Haring si trasferisce nel 1978 per studiare alla School of Visual Arts, a “LA FINE DELL’INIZIO”, con le immagini di piramidi, dischi volanti, cani, serpenti e bambini che si mescolano a figure erranti ed extraterrestri, contenute anche nella serie The Blueprint Drawings.
Una sezione specifica sarà dedicata a Tuttomondo. Il progetto nacque da un incontro casuale tra l’artista e il giovane studente Piergiorgio Castellani avvenuto a New York nel 1987. Castellani propose ad Haring di realizzare qualcosa di grande in Italia e l’artista accettò, fu così che prese forma il “Keith Haring Italian Project”, un progetto collaborativo e lungimirante, con la Chiesa che mise a disposizione la superficie da dipingere, il Comune e la Provincia a coordinare e gli studenti dell’università che aiutarono l’artista come assistenti. L’opera, entrata nella storia dell’arte, sarebbe stata l’ultima grande commissione pubblica realizzata, prima della morte prematura, il 16 febbraio 1990.
«L’arte è vita, la vita è arte. L’importanza attribuita a entrambi è esagerata e fraintesa», scriveva Haring, il 14 ottobre 1978. In quegli anni era un giovane studente alla School of Visual Arts. Nello stesso periodo faceva coming out. Al tempo, la parola AIDS non esisteva, la malattia fu riconosciuta per la prima volta il 5 giugno 1981.