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La baita di Heidegger: Francesco Arena alla Fondazione del Roscio, Roma
Arte contemporanea
La mostra di Francesco Arena (1978, Bari) alla Fondazione Nicola del Roscio di Roma rientra tra i progetti meglio riusciti della Project Room, un format nato nel 2019 come osservatorio sulla produzione artistica italiana che va di pari passo con la programmazione annuale dello spazio, dedicata perlopiù ad artisti storicizzati. Il fulmine governa ogni cosa è il titolo della personale, ideata da Nicola Del Roscio, a cura di Davide Pellicciari e Carlotta Spinelli che rimarrà aperta fino al 7 dicembre.
Arena con questo nuovo progetto dimostra di sapersi muovere con disinvoltura nell’ambito del sapere, spaziando da una disciplina all’altra. La mostra, infatti, è costellata di continui riferimenti alla filosofia, all’architettura, alla musica e all’arte. Il titolo si riferisce ad una citazione di Eraclito che ancora oggi compare sul fronte dell’architrave della porta di ingresso della hütte (baita) di Martin Heidegger a Todtnauberg, ricostruita da Arena a dimensioni reali dentro alla Fondazione.
Per accedere alla casa è necessario indossare delle pattine per non danneggiare il pavimento, costituito da 210 assi in cera di fusione rossa che richiamano la cera persa, ovvero la fase tecnica che precede la realizzazione delle opere in bronzo dislocate nei vari ambienti della casa. In generale, tutte le opere presentate fanno riferimento all’idea di supporto, di ausilio, di aiuto, sia fisico che morale, al quale tutta l’umanità è costretta prima o poi a ricorrere. Il pavimento stesso della capanna – leggermente rialzato rispetto a quello originale – funge anch’esso da sostegno per le opere che vengono progressivamente svelate agli occhi del visitatore attraverso il percorso mostra.
Nella prima sala a sinistra è possibile scorgere la riproduzione della sedia originale di Glenn Gould. Considerata la postura particolare del pianista canadese, il padre progettò appositamente per lui una sedia molto bassa per consentirgli di avvicinarsi più agevolmente ai tasti. Inoltre, incastrato nella spalliera della sedia, un giornale che tutti i giorni sarà sostituito con quello della data corrente, a stimolare un cambiamento continuo di qualcosa che apparentemente rimane sempre uguale.
Invece, nella sala di fronte trova spazio una cintura in sospensione e in continua rotazione pensata come omaggio a Cy Twombly. Al termine della sua carriera, ormai incapace di reggersi in piedi autonomamente, l’artista americano dipingeva soltanto grazie al sostegno di un assistente che lo cingeva al suo fianco per mezzo di una cintura. Lo spettatore è invitato a interagire con l’opera, ma allo stesso tempo l’installazione appare compiuta anche in assenza della presenza umana. In effetti, Cintura potrebbe davvero ospitare due persone al suo interno. Inoltre, alla scritta che compare sulla cintura, “Solitude is Multitude”, viene affidato il compito di diffondere un messaggio poetico e solidale che potrebbe “suonare” così: “anche nella solitudine, non siamo mai soli”.
A proposito di messaggi, da citare è senza dubbio l’opera Cartello, un cartellone sempre in bronzo che riproduce simbolicamente quelli che di norma vengono usati nelle manifestazioni o nelle proteste per far valere la propria voce. Tuttavia, il cartellone, così come si presenta – appoggiato a terra con un lume acceso sovrapposto – viene privato della sua funzionalità, anche a causa dell’eccessiva pesantezza che impedirebbe a chiunque di sorreggerlo a lungo. Allo stesso modo la cera della candela, destinata a colare sulla superficie, con il tempo renderebbe impossibile la lettura del suo contenuto.
Invece, per l’opera collocata dentro la camera da letto di Heidegger, Francesco Arena si è ispirato al celebre dipinto di Jacques-Louis David intitolato La morte di Marat del 1793. In particolare, l’artista pugliese ha riprodotto – sempre in bronzo – la cassettina sulla quale il politico francese stava scrivendo una lettera poco prima del suo assassinio. Quel supporto assume una valenza che da individuale si tramuta in universale, in quanto sostegno a cui tutti noi possiamo aggrapparci di fronte alle difficoltà del vivere contemporaneo.
In realtà, la prima opera che il pubblico vede una volta scese le scale della Fondazione, è una maniglia visibile sia dall’esterno, sia dall’interno della casa, che si muove grazie ad un sistema di intelligenza artificiale. La forma è semplice e corrisponde a quella disegnata da Ludwig Wittgenstein per i lavori di ristrutturazione dell’abitazione privata della sorella, eseguiti a Vienna nel 1928. Si tratta dell’opera che forse più di tutte contribuisce a creare un’atmosfera misteriosa, data perlopiù da un gioco tra presenza e assenza. Infatti, la partecipazione umana è soltanto simulata: la maniglia, muovendosi automaticamente, conduce verso un altrove anche nessuno può azionare per accedervi. Infine, nella sala secondaria della Fondazione è consultabile un fascicolo che raccoglie tutte le suggestioni che hanno contribuito a progettare la mostra di Arena e che deve essere letto come un’anticipazione del catalogo della stessa. Il catalogo, edito da Lenz e di prossima uscita, conterrà anche un’inedita conversazione tra l’artista e i curatori.
Come si potrà evincere, ogni segno che costruisce la mostra è riconducibile a un significato simbolico e ha a che fare con la nostra vita. Ogni singola scultura è il ritratto trasfigurato di un oggetto che cela una storia interessante e che si traduce sempre come rivelazione di qualcos’altro. Con Il fulmine governa ogni cosa, Francesco Arena punta gli occhi sulla società contemporanea, cercando di mettere in evidenza sia l’impossibilità di essere totalmente autosufficienti, sia l’importanza di poter contare sull’aiuto degli altri. In questo senso, anche l’arte – così come la filosofia, la religione e la politica, per esempio – si pone come chiave di volta per fornire un senso alla propria esistenza e per proteggersi dall’ignoto.