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La Biennale del “dopo scuola”: intervista a Catherine Millet
Arte contemporanea
La creazione emergente è la protagonista assoluta della prima edizione di Après l’école la Biennale “artpress” di Saint-Étienne. Lanciata in ottobre ma chiusa in anticipo a causa dell’attuale lockdown, la manifestazione si è svolta al Museo d’Arte Moderna e Contemporanea e in un edificio industriale dell’École supérieure d’Art et Design di Saint-Étienne, nella regione Auvergne-Rhône-Alpes. Chi sono i 36 artisti esposti? Freschi di diploma o con una carriera artistica intrapresa da poco, provengono da 39 scuole d’arte pubbliche francesi, e sono stati selezionati su 150 candidature da una commissione composta per lo più da critici d’arte. I curatori, come Etienne Hatt, vice direttore capo di artpress, e Romain Mathieu, critico d’arte e insegnante presso l’École supérieure d’Art et Design di Saint-Étienne, hanno scelto quei progetti artistici capaci di aprire nuove prospettive e di mettere in valore la materialità delle forme o dei mezzi espressivi.
Le creazioni si dislocano lungo duemila metri quadrati, in uno spazio ampio che accoglie, tra gli altri, il musicista e artista visivo, Igor Porte (Orléans, 1991) che realizza piccoli assemblaggi di oggetti ritrovati animandoli con semplici meccanismi o creando dinamiche installazioni dalle sonorità universali. Ouassila Arras (Juvisy-sur-Orge, 1993), ha ricoperto invece le zone di passaggio della biennale con magnifici tappeti – realizzati in vecchi laboratori femminili in Algeria oggi abbandonati – che ha in parte disfatto svelando la complessità del lavoro manuale per ispirare nuove visioni e storie.
Ne abbiamo parlato con Catherine Millet, direttrice editoriale e fondatrice, con il gallerista parigino Daniel Templon, della rivista d’Arte Contemporanea franco-inglese artpress.
Come nasce questa Biennale?
La Biennale è nata da una discussione tra me, Claire Peillod, ex direttrice dell’ESADSE e Aurélie Voltz, direttrice del MAMC+, per dare visibilità e mezzi a giovani artisti diplomati di recente che vogliono entrare nella vita professionale.
La presenza di artisti francesi qui è molto forte. Giusto?
Lo scopo è quello di mostrare artisti provenienti dalle scuole francesi, ma troviamo anche statunitensi come Xxavier Edward Carter o giapponesi come Masahiro Suzuki e My-Lan Hoang-Thuy. Ciò vuol dire che la Francia sta forse diventando un paese di riferimento dei giovani artisti.
Il premio Marcel Duchamp ha lo stesso approccio, che è quello di promuovere la creazione francese. Lei è tra i fondatori, con Gilles Fuchs presidente dell’ADIAF, di questo riconoscimento ormai di rinomanza internazionale.
Il lavoro dell’ADIAF e di questa Biennale è quello di valorizzare la scena francese, dimostrando che non è composta unicamente da artisti francesi. Personalmente, posso oggi misurare i grandi progressi che l’insegnamento artistico ha fatto in Francia sia sul piano pedagogico che nella preparazione degli studenti alla loro attività professionale, che sono poi gli aspetti che apprezzo di più nelle scuole d’arte francesi.
In un suo recente articolo ha contrapposto la figura dell’artista ricercatore a quella dell’artista imprenditore. Insomma, cosa devono fare questi giovani una volta usciti dalle scuole?
Un artista deve assumersi la responsabilità di essere tale. Tempo addietro c’era la nozione dell’artista assistito, che comunque perdura ancora un po’ oggi. Allora gli si offrivano molte possibilità, ed era facile per lui farsi conoscere, mentre oggi le condizioni sono molto dure. Inoltre molti giovani cercano di sottrarsi alla presa del mondo dell’arte e del mercato dell’arte, che impone loro i propri criteri e esigenze.
Ci sono comunque molti galleristi che fanno un ottimo lavoro con i giovani creatori?
Mi ha preceduto di poco. Volevo infatti sottolineare che quando si parla di mercato dell’arte si deve fare la differenza tra un mercato molto speculativo e quelle gallerie che fanno un lavoro formidabile di accompagnamento e di valorizzazione della giovane creazione. Viviamo in una società liberale però si devono proporre delle condizioni rispettose nei riguardi di un artista, soprattutto se giovane. Posso dire che ne ho viste passare di generazioni di artisti che sono stati usati dal mercato.
Che posto ha la critica d’arte in una società in cui è il più delle volte il mercato a imporre le proprie scelte?
Le scelte artistiche qui sono state fatte da critici d’arte o curatori di musei. Ho fondato una rivista che esiste da oltre 48 anni nella quale pubblichiamo lunghe analisi e ci rivolgiamo a professionisti. Mentre il mercato consuma, noi scriviamo la storia. Il nostro lavoro è quello di inscrivere l’artista in una storia, e fare sì che l’opera resti percettibile dal pubblico odierno e magari futuro. Per me l’opera deve essere perenne. Credo che un artista che abbia una vera ambizione voglia segnare il suo tempo e quello delle future generazioni. Insomma, un artista è quello che vede la morte come qualcosa da schivare. Molti artisti deceduti hanno prodotto un humus che nutre poi le nuove generazioni, per esempio qui ci sono opere che mi fanno pensare a Martin Barré o Richard Hamilton.
Quali affinità ci sono tra il giornalismo e la critica d’arte?
In una conferenza a cui prenderò parte si parla appunto dei modi di diffusione della critica d’arte. Certo tra una rivista di critica d’arte e un settimanale di notizie non si parla nello stesso modo d’arte, non è lo stesso mestiere, ma entrambi sono stimabili. Conosco diversi critici d’arte che vengono dalla stampa periodica e viceversa.
Quale mezzo artistico predilige?
Pittura e performance.
Le opere politicizzate o comunque impegnate sono diventate la norma nell’Arte Contemporanea. Il vostro approccio sembra diverso.
Non è affatto una questione di approccio. Abbiamo selezionato le opere liberamente senza ristrettezze, ma alla fine ci siamo resi conti che c’erano poche opere che portavano avanti discorsi ideologici, o problematiche sociali. Siamo davanti il video Rêvent-elles de robots astronautes ? di Sarah Del Pino in cui si parla della condizione degli animali, dello sfruttamento di mucche in una fattoria completamente robotizzata. Questa denuncia passa attraverso delle immagini, un montaggio, rivela delle preoccupazioni estetiche, una sensibilità, non è esposta in modo didattico.
artpress ha dedicato un numero speciale alla biennale Après l’École, che comprende diversi interventi di Catherine Millet, Claire Peillod e Aurélie Voltz. Le opere della biennale sono visibili sul sito di artpress