L’inizio dell’autunno londinese celebra la ricerca collettiva di fare arte: che comprende la sorellanza delle pratiche delle donne artiste, le relazioni tra genere ed ecologia, le popolazioni indigene, la diversità in natura, le connessioni tra piante e comunità LGBTQ+. Una dirompente estetica di mostre composte da lavori visionari e da luminose installazioni site-specific che dialogano con la complessa eredità stravolgendone i binari e re-iscrivendone i capitoli.
Londra a ottobre non è solo Frieze. In un’agenda dell’arte ricca e coinvolgente le mostre che trattano le tematiche di grande urgenza sono quelle che lasciano il segno. Al Barbican Art Gallery, RE/SISTERS: A Lens on Gender and Ecology indaga la relazione tra genere ed ecologia per identificare i legami sistemici tra l’oppressione delle donne e il degrado del pianeta.
Questa ampia mostra collettiva riunisce fotografie, film e installazioni di quasi 50 donne internazionali e artiste non conformi al genere, il cui lavoro è unito attraverso decenni, continenti e media da un impegno urgente e una protesta contro la crisi ecologica in corso. Attraverso il lavoro di artisti provenienti da ogni continente e dalle popolazioni indigene, RE/SISTERS esplora il legame indivisibile tra giustizia ambientale e sociale, offrendo una visione di una società equa in cui le persone e il pianeta sono venerati e, finalmente, trattati equamente.
C’è un ribaltamento di posizioni anti-patriarcale, un quasi ritorno ad una società matriarcale in cui riprendono voce le donne e le comunità emarginate poste in prima linea nella difesa e nella cura del pianeta.
RE/SISTERS offre una rappresentazione della natura che resiste esplicitamente all’ordine meccanico nel quale vige lo sfruttamento delle risorse naturali e all’oppressione “dell’altro” con le sue differenze. Attraverso circa 250 opere, la mostra presenta una tabella di marcia per forme creative di disobbedienza civile e protesta. Un percorso esplorato e cautamente ottimista per riconsiderare il nostro rapporto con la Terra e la nostra problematica convivenza con essa. Un urlo di sprezzante eco-femminismo che si presenta diversificato, inclusivo e decoloniale.
RE/SISTERS è organizzata tematicamente ed è suddivisa in sei sezioni. Affronta la politica dell’estrazione, gli atti di protesta e resistenza, il lavoro della cura ecologica, il razzismo ambientale, la stranezza e la fluidità di fronte a strutture e gerarchie sociali rigide. Insieme, questi raggruppamenti gettano una nuova lente su questioni critiche che sono in prima linea nella nostra coscienza collettiva, riformulando il nostro pensiero sull’ambiente e sul genere ed enfatizzando il potere radicale della cura nel mondo di fronte alla distruzione ecologica.
In questa incredibile e coinvolgente narrativa, ci sono artiste pioniere, tra le quali: Laura Aguilar (USA); Melanie Bonajo (Olanda); Judy Chicago (USA); Minerva Cuevas (Messico); Agnes Denes (USA); La Toya Ruby Frazier (USA); Anne Duk Hee Jordan (Corea/Germania); Barbara Kruger (USA); Ana Mendieta (Cuba); Otobong Nkanga (Nigeria); Ingrid Pollard (Inghilterra); Xaviera Simmons (USA); e Pamela Singh (India).
Principalmente la mostra promuove il lavoro urgente di artiste provenienti dal Sud del mondo e dalle comunità indigene, tra le quali: Poulomi Basu (India); Simryn Gill (Malesia); Taloi Havini (Bougainville / Australia); Gauri Gill (India), così le opere meno conosciute, ma vitali per la narrativa della mostra di artiste come: Mónica de Miranda (Angola/Portogallo); Josèfa Ntjam (Francia); Zina Saro-Wiwa (Nigeria); e Carolina Caycedo (Colombia, presente anche nel libro The Edge of Equilibrium edito da Vanilla edizioni).
La mostra diffonde ed incoraggia una relazione reciproca, grata e gioiosa con la nostra Terra, proponendo opere che rivendicano la natura come spazio politico femminista e che sostengono ferocemente i diritti dei gruppi indigeni e le comunità. In questo stato di grazia le artiste esplorano l’uso del camuffamento e della performance per costruire dialoghi tra il corpo e il suo ambiente, oltre a sconvolgere i binari di maschio/femmina e natura/cultura.
Cambiando spazio espositivo, una prospettiva apertamente queer permea il progetto appena inaugurato all’inizio di questo mese di ottobre, nella storica serra Vittoriana dei Kew Gardens di Londra. Si celebra la diversità e la bellezza delle piante e dei funghi, con un nuovo festival stimolante, Queer Nature che sfida le aspettative tradizionali.
Celebrando la diversità nel mondo vegetale e il posto della natura nella cultura queer, l’evento alla Temperate House presenta un programma ricco di installazioni artistiche, interviste video, esperienze coinvolgenti e un giardino appena commissionato. Ci sono anche una serie di programmi serali che includono conferenze, musica e spettacoli di cabaret di artisti queer.
Nel giardino dell’orto botanico hanno già germogliato più di 1.200 specie di piante, i funghi sono uno dei migliori esempi di diversità sessuale in natura. L’ossessione per i funghi è da sempre largamente accompagnata e sorretta dalle ricerche degli artisti che ne rimangono folgorati, basta ricordare tra i più celebri: John Cage, Carsten Höller e Silia Ka Tung.
Se vogliamo un futuro, è certo debba essere botanico. Kew Gardens comunica che abbiamo solo scalfito l’eclatante superficie dei funghi e delle piante, ed il loro potere. In questa fonte incredibile di ispirazione emerge l’installazione sospesa, composta da fasce di stoffa, dell’artista newyorkese Jeffrey Gibson in collaborazione con il Kew Youth Forum e il Queer Voices, il debutto nel giardino si estende e dialoga nell’ottagono sud progettato dal paesaggista Patrick Featherstone.
Il lavoro di Gibson, che sarà il primo indigeno a presentare una mostra personale al Padiglione degli Stati Uniti durante la Biennale di Venezia del 2024, è costituito da una serie di nastri di tessuto colorati progettati per catturare la luce, che recano illustrazioni e scritte botaniche e che omaggiano insieme la ball culture di New York, la vita dell’artista e attivista per i diritti LGBTQ+ Derek Jarman e la sua eredità Choctaw-Cherokee.
Riconoscendo l’incredibile ampiezza e gamma di prospettive della natura queer, sono stati invitati oltre una dozzina di orticoltori, scienziati, autori, artisti drag e attivisti per contribuire a un’installazione basata dal film dell’artista e designer britannico Adam Nathaniel Furman. Se a colpire lo sguardo è l’installazione di Gibson e il suo dialogo con la splendida vegetazione della serra, anche il suono accompagna la visita attraverso due brani parlati dall’artiste Ama Josephine Budge Johnstone e LiLi K, che condividono le loro prospettive personali e celebrano la multiformità del mondo naturale.
Lo studio sulla qualità trasformativa delle piante solleva domande su come percepiamo noi stessi, innesca prospettive sostenibili e dal dialogo emerge un rinnovato potere trasformativo che arriva alle comunità. Se vogliamo una società migliore iniziamo ad ascoltare le piante.
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