Nel momento in cui il governo – e la politica – attraversa una delle sue crisi ormai divenute stagionali, trova una sistemazione definitiva, accessibile, narrabile, un tassello importante in quel processo di costruzione dell’immagine pubblica sempre in corso: dopo le indiscrezioni dei mesi scorsi, parte della collezione d’arte contemporanea di Lia Rumma è stata ufficialmente donata allo Stato italiano, attraverso il Museo e Real Bosco di Capodimonte di Napoli. Città nella quale la gallerista aprì la prima sede della sua galleria, nel 1971, nell’elegante palazzo di Parco Margherita, dopo la scomparsa del marito, Marcello Rumma, con il quale già aveva organizzato alcune rassegne d’arte che in prospettiva avrebbero assunto un enorme rilievo, su tutte “Arte Povera + Azioni Povere”, nel 1968, a cura di Gemano Celant.
Nella stessa città, negli stessi anni, nello stesso quartiere, anche Lucio Amelio aveva avviato il suo spazio e la storia, a distanza di tempo, continua a ripresentare i suoi gustosi parallelismi. In questo caso riguardanti il destino delle collezioni private divenute poi pubbliche: dopo un iter tutt’altro che semplice, nel 1993, la raccolta “Terrae Motus”, messa insieme su impulso di Amelio come reazione creativa al terremoto del 1980, fu infine donata alla Reggia di Caserta, dove tuttora è visibile al pubblico ma anche al centro di periodiche discussioni, a causa di una disposizione allestitiva che, secondo qualcuno, sarebbe poco valorizzante.
Le oltre 70 opere oggetto di questa nuova donazione, invece, troveranno una sede che sembra annunciarsi come privilegiata: tra due anni termineranno i lavori di risistemazione della Palazzina dei Principi, posta proprio di fronte all’imponente Reggia, già sede della secolare collezione del Museo di Capodimonte. Segno di una considerazione ma anche di una pianificazione meticolosa e ad ampio raggio. E se il Ministro della Cultura Dario Franceschini – alla cui riforma, nel 2014, si deve la nomina dell’attuale direttore di Capodimonte, Sylvain Bellenger, tra i protagonisti di questa complessa operazione – non ha potuto partecipare alla presentazione a causa della crisi di governo (e come lui il Segretario Generale Salvatore Nastasi), non sono mancati tutti gli altri rappresentanti istituzionali, come Massimo Osanna, Direttore Generale dei Musei e già direttore del parco archeologico di Pompei, Onofrio Cutaia, Direttore Generale Creatività Contemporanea e già direttore del Teatro Mercadante di Napoli, e Gaetano Manfredi, sindaco di Napoli, Ministro dell’università e della ricerca dal 2020 al 2021 – era il Conte II – e rettore dell’Università Federico II.
Ma anche la platea non era da meno, con Andrea Viliani e Pierpaolo Forte, rispettivamente ex Direttore ed ex Presidente della Fondazione Donnaregina per le Arti Contemporanee, e Angela Tecce, che è l’attuale Presidente. E poi Gianfranco D’Amato, imprenditore, collezionista e membro dell’Advisory Board di Capodimonte, e gli artisti storici e quelli rampanti vicini a Lia Rumma, da Ninì Sgambati e Pietro Lista a Gian Maria Tosatti – primo artista unico a rappresentare l’Italia alla Biennale d’Arte di Venezia – e i galleristi, come Umberto Di Marino, Laura Trisorio, Tiziana Di Caro e Paola Verrengia, e i collezionisti, come Massimo Moschini e Olimpia Fischetti e Silvio Sansone. E tanti altri amici di data più o meno lunga, che hanno animato un pienissimo Salone delle Feste in cui le emozioni e le temperature hanno raggiunto picchi notevoli: gradita è stata la scelta di stampare una bella foto-invito di Lia e Marcello su dei ventagli di cartone, andati letteralmente a ruba.
E così, mentre tutti sventolavano l’immagine alla ricerca di un lieve refrigerio, la storia densa di accadimenti e di oggetti un po’ si riavvolgeva diventando eternità – con la quale «I musei amano flirtare», come ha efficacemente espresso il Direttore Bellenger nel suo intervento –, percorrendo le parole di Lia Rumma che, con rapidi e fieri accenni, ha evocato piccoli ma significativi ricordi di familiarità con i grandi artisti internazionali, nomi che fanno tremare i polsi di chi sfoglia i pesanti libri d’arte, eventi che potrebbero tessere la trama di una serie tv Netflix. «Noi volevamo vivere pienamente la nostra contemporaneità», dice Lia, includendo in quel plurale anche Lucio Amelio, a commento di un breve estratto da un video d’epoca, proiettato a inizio conferenza, nel quale i due galleristi compaiono a colloquio, nel corso di una intervista.
Vincenzo Agnetti, Giovanni Anselmo, Carlo Alfano, Agostino Bonalumi, Enrico Castellani, Mario Ceroli, Dadamaino, Gino De Dominicis, Giuseppe Desiato, Luciano Fabro, Piero Gilardi, Giorgio Griffa, Paolo Icaro, Mimmo Jodice, Jannis Kounellis, Maria Lai, Carmine Limatola, Pietro Lista, Francesco Matarrese, Mario Merz, Marisa Merz, Aldo Mondino, Ugo Mulas, Luigi Ontani, Giulio Paolini, Pino Pascali, Gianni Piacentino, Michelangelo Pistoletto, Gianni Ruffi, Ettore Spalletti, Giulio Turcato, Gilberto Zorio. Sono tutti italiani i nomi della donazione di Lia Rumma al Museo di Capodimonte, presenti con opere che vanno dal 1965 agli anni Duemila, lungo le direttive dell’Arte Povera, dell’Arte Minimale e del Concettuale, a riportare la traccia di uno sguardo parziale, preciso, identificabile e anche territoriale. D’altra parte, è la stessa gallerista ad aver esplicitato la sua intenzione di voler mantenere la collezione in Italia, nonostante l’interessamento e le proposte, evidentemente avanzate da grandi istituzioni di altri Paesi, non siano mancate.
«Sei anni fa, il direttore del Centre Pompidou di Parigi, in visita a Napoli, mi parlò dell’arte Povera ricordando l’importanza di questo momento italiano nelle collezioni del MOMA di New York, del Centre Pompidou stesso, nella collezione Pinault. Grazie alla generosità di Lia questa collezione rimarrà a Napoli, in Italia, accanto alle opere della grande Pinacoteca di Capodimonte», ha spiegato Bellenger, che ha fatto riferimento al ruolo strategico del soft power: «Diciamolo con franchezza, se i Paesi come l’Italia o la Francia hanno ancora un posto nel mondo oggi, vis à vis con i grandi poteri mondiali, è proprio grazie all’arte». «Questa donazione rappresenta una ricchezza per il sistema museale italiano», ha dichiarato Massimo Osanna, che ha rimarcato la scelta di Capodimonte, «Dove se non qui?», ovvero, parafrasando, in una Reggia Borbonica diventata museo pubblico e poi autonomo, che si apre al privato e si «Contamina», un verbo reiterato nell’intervento del Sindaco Manfredi.
La raccolta Rumma andrà così a integrare quella della sezione Contemporanea che, a oggi, consta di 175 opere e che già rende il Museo di Capodimonte l’unico in Italia a poter raccontare gli sviluppi e gli eterni ritorni dell’arte dal XIII Secolo, quando si “scopriva” la pittura a olio, a oggi, periodo di grandi sconvolgimenti, anche artistici. Direttore scientifico del progetto è lo storico dell’arte Gabriele Guercio, a dirigere il progetto di distribuzione funzionale e allestimento museale legato alla donazione è l’architetto Ippolito Pestellini, con il suo studio di ricerca e architettura Studio 2050+. Appuntamento al 2024, quando, se guerre, pandemie e ondate di caldo anomalo lo permetteranno (e allora, basterà un ventaglio?) le opere saranno esposte nei rinnovati spazi della Palazzina dei Principi.
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