La Collezione Maramotti di Reggio Emilia ha riaperto al pubblico con la personale di Svenja Deininger “Two Thoughts” (fino al 6 dicembre), con opere pittoriche realizzate appositamente per la Collezione e che nel percorso espositivo entrano in dialogo con quattro dipinti degli anni Venti dell’avanguardista polacco Władysław Strzemiński, in prestito dal Muzeum Sztuki di Łódź, in Polonia.
Annunciando la riapertura la Collezione Maramotti ha comunicato anche che la mostra Mollino/Insides, che unisce in un unico progetto espositivo i dipinti di Enoc Perez e le fotografie di Brigitte Schindler e Carlo Mollino, prevista per questa primavera, è stata riprogrammata per il 4 ottobre.
(Ricordiamo che le modalità di accesso alla Collezione e alla mostra di Svenja Deininger sono limitate in conformità alle norme per il distanziamento sociale, vi invitiamo a verificarle sul sito o a effetture la prenotazione, obbligatoria per l’accesso alla collezione permanente.)
di Ludovico Pratesi
La prima volta che vidi le opere dell’artista austriaca Svenja Deininger era in occasione della sua personale in Italia “Every Something Is An Echo of Nothing“, nel marzo del 2015 alla galleria Federica Schiavo a Roma. Rimasi colpito dalla serietà della sua ricerca e dal rigore della pittura: non la conoscevo e mi congratulai con la gallerista per averla presentata nel nostro paese. Dopo cinque anni mi sembra significativo ritrovarla in una sede così prestigiosa come la Collezione Maramotti a Reggio Emilia, con la sua ultima personale, “Two Thoughts”.
La mostra è costituita da una serie di opere realizzate per l’occasione (tranne una tela del 2018, già in collezione), in dialogo con quattro tele dell’artista Wladyslaw Streminski (1893-1952), protagonista dell’avanguardia polacca: intitolate Architectural Compositions e datate 1929, provengono dal Muzeum Sztuki di Lòdz. «L’idea di includere queste opere nella mostra è scaturita da una conversazione con Luigi Maramotti» spiega l’artista. «Entrambi eravamo d’accordo sulle affinità tra il mio lavoro e la ricerca di Streminski, che è piuttosto stringente, e quindi abbiamo deciso di impostare la personale su questa relazione».
La mostra, allestita in maniera perfetta, è stata concepita da Svenja (nata a Vienna nel 1974) in relazione allo spazio espositivo, creando un ritmo quasi musicale tra opere di dimensioni grandi, medie e piccole, realizzate in contemporanea nel suo studio a Vienna, senza l’aiuto di assistenti, attraverso un processo molto lungo e complesso. I dipinti più intensi sono quelli di piccole dimensioni, che concentrano in una tela poco più grande di un foglio A4 un insieme di superfici di cromie, consistenze e trame differenti, simili alle tarsie rinascimentali di Lorenzo Lotto o Cristoforo da Lendinara. Ogni porzione dell’opera viene ottenuta attraverso passaggi ripetuti tra velature, preparazioni in gesso o colle, cancellature e abrasioni, visibili soltanto a una distanza ravvicinata.
In bilico tra pittura e scultura, queste tele sono caratterizzate da colori dalle tonalità diverse, spesso tenui e opache, quasi polverose. «I colori delle opere vengono da immagini figurative, come le nature morte di Giorgio Morandi oppure paesaggi naturali» spiega l’artista. «Attraverso un controllo preciso e tempi molto lunghi riesco a creare un dialogo tra i materiali, che assorbono e restituiscono la luce in modo diverso, attraverso stratificazioni di colore stese sia sul fronte che sul retro delle tele». Grazie alla dimensione sperimentale della sua pittura, formalmente ineccepibile, Svenja Deininger appare come una delle pittrici più interessanti e consapevoli della sua generazione, che attende ancora il giusto riconoscimento del suo lavoro.
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