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Oggetti vuoti e oscurità piene: ha aperto la grande mostra di Anish Kapoor a Firenze
Arte contemporanea
A Firenze fa tappa la cosmogonia di Anish Kapoor. Dove si fa esperienza della rivoluzione delle forme e della materia, si cammina in cresta tra scultura e pittura, si sosta in spazi inimmaginati e paesaggi illusori, ci si fa travolgere da nuove percezioni di sé e di ciò ci circonda. Un viaggio esplorativo nella sua storia (e in noi stessi) più che una visita a Palazzo Strozzi a Firenze dove la mostra Untrue Unreal rimane fino al 4 febbraio 2024. Propone i primi lavori insieme con altri che negli anni accompagnano la sua ricerca, compresi alcuni più recenti.
E siccome l’artista con un atlante del mondo sul passaporto (nato a Mumbai, da madre ebrea irachena. Cresciuto in Israele si è spostato a Londra dove è suo studio, e ora vive un po’ a Venezia) ama sorprendere, c’è anche un lavoro nuovo di zecca che campeggia nel cortile rinascimentale del palazzo: il Void PavillionVIII. Una costruzione bianca dove all’interno sono infilate tre forme rettangolari vuote, realizzate con il vantablack (il nero profondo inventato da lui di cui è l’unico possessore del brevetto). Dove appena entrati si è immediatamente attratti dal nero profondo e ci si avvicina per comprendere la profondità di rettangoli che appaiono piatti, il suo “vuoto pieno” è qui espresso ancora una volta. Ma questa esposizione è stata anche una “battaglia” con il palazzo.
Al centro del tema dell’allestimento, infatti, c’è stato il confronto con i secoli di storia e l’architettura rinascimentale. Un rapporto complicato:«Ho dialogato e litigato con questo luogo, sono stato un po’ turbato dalla sua simmetria e dalla rigidità, che è una successione classica di ambienti. Allora la mia scelta è stata di assecondarne lo scorrere, ma anche di interromperlo, o sconvolgerlo. Per esempio, a volte nel posizionare le opere ho tenuto conto della relazione tra gli oggetti che sono piccoli e l’ampiezza della sala. Tutta la matematica della mostra è incentrata sull’“oggetto vuoto” ma, essendo io pieno di contraddizioni, quello che vedete non sono “oggetti vuoti”. Sono in realtà sono pieni di oscurità (i grandi buchi neri con il VantaBlack) o di riflessi (gli specchi). E anche questa è una complicazione».
E aggiunge con un sorriso e un’espressione che ricorda quel momento:«Poi potete immaginare come è stato facile portare la quella montagna di cera (che forma la prima opera che incontriamo) sulle scale del palazzo…», precisa sorridendo Kapoor.
«Questo ragazzo è crazy», indicando Arturo Galansino, che ha deciso di osare. È la sua cifra anche come direttore di Palazzo Strozzi, che da qualche anno sta ribaltando la politica culturale della città del Rinascimento.«Ho voluto rompere gli schemi insomma», ribadisce Kapoor. E così la montagna di cera è diventata un grande parallelepipedo che scorrendo su due binari ci accoglie nella prima sala e prosegue in un’altra (Svayambhu, 2007): la porta è come una bocca di fuoco da dove esce e poi si ritrae, scorrendo dall’altra parte. L’eterna dualità, il doppio significato, lo scorrere del soggetto parlante? Del pensiero?
«Credo che la grande arte, così come la poesia, debba saper stare nella terra di mezzo, nello spazio del limite. Tra reale e non reale, tra vero e non vero. Ci sono troppi colleghi che danno dei significati, io preferisco rifarmi alla poetica degli oggetti e allapoetica dell’essere. Credo che sia questo il nostro compito». Non a caso Kapoor sostiene che «il cerchio si conclude solo con lo spettatore», cioè con il dialogo e l’esperienza di chi sperimenta l’opera. «Esiste una netta differenza rispetto a quelle opere con soggetto definito, dove significato e contrappunto formano già un cerchio completo».
Illusione e indefinitezza si concretizzano in particolare nella sala degli specchi con le opere Vertigo, Mirror e Newborn, dove lo spettatore sperimenta un totale stato di disorientamento e di mutamento della realtà che a ogni movimento cambia e si deforma.«Perché ciò che è imperscrutabile e illusorio è l’essenza di ciò che noi siamo. Noi siamo qui per un piccolo pezzo non sappiamo cosa è successo prima della nostra nascita, né cosa succederà dopo. Questo fa parte della disperazione della nostra condizione umana, che è costante».
Così come quando sperimentiamo l’indefinita profondità del nero dei suoi Black Hole, tra i diversi in mostra c’è il Non object Black(2015). Ma tra le sale ci possiamo trovare in paesaggi su cui riflettere ancora come l’arcipelago di “rocce” blu elettrico (Angel, 2009), oppure di fronte a The reflect on Intimate part of red(1981) un fulgido esempio di come sia valida la definizione che Kapoor si è dato: «un pittore che lavora come uno scultore».
Qui ci sono infatti diverse sculture con i suoi pigmenti. E ancora si entra in una stanza dove le porzioni di spazio sono scomposte da un’altissima colonna rossa (Endless Coloumn, 1992). Nella sua storia ci sono altri capitoli che si discostano da quelli citati finora, il tema del sesso, è un altro nella sua poetica. Porta in mostra A blackish fluid excavation, un lavoro di grandi dimensioni del 2018, realizzato in acciaio e resina, che ricorda una grande vagina e anche l’organo sessuale maschile. Circondato da una sorta di carni da macello, una sorta di grandi quadri scultura, come Three day of mournings (2016), un progetto concepito pensando ai prigionieri politici irlandesi ai tempi della guerra civile.
Perché Anish Kapoor pone una grande attenzione all’attualità: «L’altra sera sono andato verso il Duomo, e ho pensato che ci sono voluti 200 anni per costruirlo. L’incarico è passato per circa 30 generazioni, che si consegnavano le informazioni. Era il tempo della fiducia nella cultura. Ora è diverso, è il tempo del sospetto. Ètristemente vero. Credo che i musei debbano per questo essere gratis, per togliere la paura».
Ipse dixit. E forse per questo ha fatto “sognare”, prospettando l’ipotesi del lascito di una sua opera a Firenze?
Articolo interessante..Ma contiene una inesattezza:stando alle mie conoscenze, il Vantablack non è stato ” inventato ” da lui, ma risale a un progetto militare americano. Kapoor, si è ” appropriato” del brevetto, suscitando una querelle mediatica supportata da altri artisti….
A differenza della “reale” invenzione del Blu Klein……
Con 30 mila lire il mio falegname la faceva meglio.
Quando ammetteremo che questa roba non ci veramente?