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La mostra antologica SFREGI di Nicola Samorì a Palazzo Fava di Bologna, palazzo storico decorato con i fregi dei Carracci e scuola, si colloca in un rapporto dialettico continuo e volutamente coinvolgente con gli affreschi antichi che culminano nella famosa Sala di Giasone.
![](https://www.exibart.com/repository/media/2021/06/IMG_1555-300x225.jpg)
“È pittura che guarda la pittura” afferma l’artista, proprio come fanno in modo programmatico tutte le figure dei suoi dipinti installati nella Sala, che guardano verso l’alto.
I quadri dell’artista si pongono in confronto con la tradizione pittorica, da quella cinquecentesca a quella ombrosa del barocco, fino ad arrivare al contemporaneo con il gusto per la materia di Burri e i tagli di Fontana. E ancora, l’artista ammette un debito nei confronti della sua terra romagnola: con la lucentezza disgregante dei mosaici di Ravenna e con la pittura fulminea di uno degli arcangeliani “Ultimi Naturalisti”, Mattia Moreni. Il confronto è insieme con i codici della pittura: in primis quello mimetico della tradizione occidentale e poi l’informale e l’astrazione del linguaggio contemporaneo. Infine l’epico confronto di Samorì è proprio con il medium della Pittura: i supporti diversi, il colore e la materia pittorica, gli impasti, le tecniche, la relazione con l’incisione. Si tratta di una ricerca a tutto campo sulla natura dell’immagine che coinvolge anche la scultura, quasi a volere completare un confronto continuo con i due media eccellenti della tradizione.
![](https://www.exibart.com/repository/media/2021/06/9.-Pittura-2018-242x300.jpg)
La mostra si apre in maniera programmatica con Pittura (2018) un quadro dove il volto ripreso da Simone Cantarini si raddoppia in un ovale volto-tavolozza: la pelle del “secondo” volto coincide con la pelle della pittura e affiora e fiorisce in un tripudio squillante di colori informi, che si oppongono alla coloritura liscia e bruna della tradizione. Di fronte al quadro, al centro dell’atrio e in opposizione con la scultura antica dell’Apollo, svetta la scultura On the tentacle, 2016, che rappresenta Marsia scuoiato, una figura topica per Samorì, visto che gli affreschi del Cammino Cannibale (2018-19) rappresentano Marsia nella sala di Ludovico Carracci e sono il risultato di sei strappi, che rendono evidente la stratificazione della pittura, le diverse pelli di cui è composta, fino ad arrivare in un percorso a ritroso al supporto finale, alla figura nel suo stato larvale e fantasmico. Di fatto al centro della pratica di Samorì sta proprio un lavoro operato sulla pelle stratificata della pittura, che subisce varie operazioni con diversi utensili utilizzati a seconda di ciò che suggerisce il contesto all’immaginazione dell’artista: il bulino per togliere fili di pittura che cadono inermi nello spazio A corde, 2019; la sgorbia per tormentare la superficie e creare contrasti tra finito e non finito, naturale e artificiale, forma e informe, Caino, 2020; le mani per togliere strati abbondanti di pittura affondando nella materia e arrivando persino al supporto About Africans (gli occhi nel petto), 2013; solventi per scorticare le pelli superficiali, L’illeso, 2014; trapani che creano fessure nei supporti Clessidra, 2020; giochi tra pieni e vuoti in cui il vuoto in realtà costituisce la figura attorno a cui l’artista lavora, Gennaro e Lucia, 2019 e 2020.
![](https://www.exibart.com/repository/media/2021/06/15.-Caino-2020-228x300.jpg)
Lo stesso avviene con la scultura, dove l’artista scolpisce in maniera raffinatissima oppure usa la tecnica dello stampo e il collage di forme che fioriscono su se stesse, spesso incompiute, frammentarie, sofferenti. La forma nasce a volte a partire da un errore della materia, da un’imperfezione, che Samorì accoglie come luogo simbolico da cui partire per ricostruire l’idea di una figura o un oggetto che si appella al mito o al quotidiano immaginifico dell’artista, Ultimo Sangue, 2019.
Un prendersi cura della pittura come un medico di fronte ad un corpo, composto di un interno e di uno strato superficiale, è l’evidenza attorno a cui opera l’artista con lo sguardo e con le mani. Samorì altera il corpo finito della figura e della pittura che si abbandona al suo fare, iniziando un percorso di decostruzione fantastica attraverso cui la figura diventerà un ibrido, un incrocio di tempi e di codici indissolubili e trasfigurati. Concludiamo con tre esempi particolarmente significativi della pratica dell’artista.
![](https://www.exibart.com/repository/media/2021/06/Immortale-alta-230x300.jpg)
Il primo è la santa di Immortale (2018) che ha la gola squarciata da un pennello vero, che coincide con lo squarcio profondo della carne della pittura che arriva alla tavola: una metafora in cui lo strumento del pittore è in grado di operare una profanazione dell’immagine. Il secondo è Anulante (2018), un olio su rame, dove Samorì squarcia come in un’operazione anatomica il tronco del personaggio e lo apre in due per mostrare la carne sanguinolenta e ribollente del corpo della pittura. Il terzo esempio è Lienzo (2014), olio su tavola. Anche qui l’artista ha costruito uno spessore scuro con un denso strato di olio sul quale ha dipinto con pennelli finissimi il corpo perfetto e classico del Cristo nel sudario da Philippe de Champaigne, ma poi ha tolto con una grande concentrazione la pelle superficiale della pittura, arrivando esattamente a metà del corpo diafano del Cristo: una coltre nera e profonda incombe sulla figura e la fa galleggiare per sempre nel tempo.