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La mostra diffusa di Bertozzi & Casoni in tre musei di Imola
Arte contemporanea
di Luigi Abbate
Visitando a Imola le tre sedi di Bertozzi & Casoni. Tranche de vie vien da pensare che esista un’arte della (e con la) ceramica prima e una dopo l’opera dei due artisti omaggiati dalla loro città. Prima, per esempio, come la intendeva Fausto Melotti che, non senza imbarazzo, giustificava la sua attività produttiva con questo mezzo come fonte di reddito. Prima, per come le opere di Luigi Ontani risultino al servizio di un’apoteosi narcisistica del loro autore. Con Bertozzi e Casoni il mondo cambia. «Se gli togli la puzza, la spazzatura è bellissima… Le pattumiere non mentono». Sembran battute, queste di Stefano Dal Monte Casoni, ma proprio qui sta il punto di svolta. Non c’è (più) solo decorazione, idea di funzionalità – reale, come il servizio da tè, o allusa, poco importa – solo gusto del trompe-l’oeil, compiacimento, seduzione cromatica. C’è un qualcosa di questo, ma anche d’altro, elaborato in un mélange che è frutto di sapienza degna del gran chef in cucina, del fine orchestratore in musica, dell’epico cantore. Stupefacente in quanto “intestato” alla “ditta del bersaglio” – così ama(va)no definirsi – che fa capo ai due autori.
Percorso di visita consigliato a partire dal quadriportico del Museo San Domenico, dove si raccontano la nascita e la crescita del sodalizio (In nuce – 1980/’97). Come scrive Roberta Minnucci nel suo saggio in catalogo, “grande prova generale” della definizione poetica e stilistica, anni di studio sull’emancipazione della creatività intorno alla ceramica, di riscatto dal ruolo funzionaldecorativo, per costruire un’idea matura di interpretazione del “pregresso”. Coscienza imprenditoriale e produttiva: parola chiave è opificio (da “Opus”), prodotto ma anche lavoro, impegno intrapreso per giungere al risultato. Cruciale punto d’arrivo, Scegli il paradiso, la Madonna al tagliaerba, non a caso acquisita dal museo imolese, alla quale i due lavorano per ben 18 mesi.
La visita di Palazzo Tozzoni è senza dubbio il momento più eccitante. Spazi sontuosi ed antichi arredi sono sottoposti a un raffinato camouflage – parola di Diego Galizzi, che del museo è direttore, e della mostra curatore. Si vivono sensazioni “sghembe”, laddove mimesi coincide con mimetismo, alternanza fra fitomorfismo fantastico e proiezione mentale, estetica della decomposizione organica (viene in mente il Peter Greenway di Venus Zoo) ed esplorazione visuale degli avanzi. Le Sparecchiature, accumuli di uova rotte, sporcizia postprandiana su vassoi e stoviglie vecchio-stile sono la terza via fra i Tableaux piéges di Daniel Spoerri e i Tappeti-Natura di Piero Gilardi (così in Resistenza 2), ma con una sostanziale differenza: i lavori di Spoerri han bisogno di una legittimazione in forma di escamotage nel gesto di appendere objects trouveés cristallizzati dalla colla. Per i nostri, che riconoscono un antico ispiratore nel ceramista francese del ‘500 Bernard Palice, l’idea è la miccia d’un puro godimento, quasi sinestetico, impossibile da vivere senza il conforto di un’altissima qualità del manufatto.
Come per esempio nel comporre e nell’eseguire musica il virtuosismo è autentico e motivato solo se si piega a un’idea, che poi è essa stessa sostanza imprescindibile del progetto “performativo”, così il virtuosismo, termine certo appropriato al lavoro di Bertozzi & Casoni, non si dimostra mai fine a se stesso, esaltando così un “diletto” libero da falsi infingimenti intellettualistici. Allo stesso modo va letto il ruolo della citazione, che può essere esplicita, ad esempio Arcimboldo, o parossistica, stravinskiana, al quadrato, nella casetta del cane e quella del pappagallo fatte di cartoni Brillo warholiani. Su tutti Morandi, nel titolo stesso d’un vaso di rose bianche. E ancora, fascino del caduco, inesorabilità del tempo, in un grinzoso Pinocchio che tiene in mano una vecchia copia del libro: cortocircuiti su cortocircuiti. Persino la semplice riproduzione del barattolo di Caffè Paulista regala il brivido della Vanitas.
Ma sarebbe riduttivo relegare il lavoro della “ditta” a semplice eco estetico altrui, a banale manierismo da terzo millennio. Se di manierismo si vuol parlare, allora bisogna puntare in alto. Alchimisti della tassidermia artistica, Bertozzi & Casoni son testimoni della Finis di una civiltà, segnalatori d’avvisaglie di nuove ed eterne barbarie. Si veda ad esempio sotto questa luce l’addensarsi, proprio come in natura, delle coccinelle abbarbicate su di un pallido “cesto” d’ossa umane. Oppure la Rivière di Ingres in Ritratto del ’19, gorilla, scala (quasi) 1:1 in garbata mise da sera bianca e guanti gialli, che suscita spiazzamenti da “uncanny valley”. Non lontano, Riflessione sulla morte, uno scheletro seduto al tavolino, trovando la ceramica conforto strutturale nella fusione in alluminio; o la custodia vuota del violino riempita di suppellettili, sorta di doloroso cenotafio musicale (Cover, del 2023). In altro locale, di passaggio, l’orgia de-compositiva di scatole delle meraviglie appese a un muro. C’è poi la metonimia del consunto: Nelle tue scarpe. Un’Epifania, dove il celebre marchio di calzature si fa macilento per l’uso. Tutto calcolato, tutto per “accomodare” l’occhio sull’orlo di un precipizio dell’inganno.
Se la visita allo storico palazzo è una sorta di percorso all’interno di una raffinata Wunderkammer, La morte dell’Eros esposta alla Rocca sforzesca è l’estremo Site specific: asciuttezza, esibita povertà cromatica che rimanda al sublime San Cataldo palermitano. Lavoro che ha impegnato insieme i due, dal 2000, portato a compimento da Giampaolo subito dopo la morte di Stefano, lo si incontra scendendo le scale, ancora una volta in una posizione “sghemba”, lui impiccato, solo, in una livida penombra. Fino al 18 febbraio, imprescindibile per il piacere dell’occhio, per l’allestimento, per l’arte d’oggi, e non solo.