Per supportare il femminismo e la lotta contro le discriminazioni di genere, c’è chi lancia hashtag virali, come la recente campagna #knowmyname, e chi porta manifesti nei musei, come Anastasia Bengoechea. Poi, in Australia, qualcuno ha deciso di fondare la prima galleria d’arte contemporanea dedicata esclusivamente alle artiste. La Finkelstein Gallery aprirà le porte il 29 agosto, a Melbourne, da un’idea della consulente d’arte Lisa Fehily, che ha fatto tesoro della sua esperienza decennale nel settore. «Ho lavorato per molti anni con artisti, collezionisti e istituzioni e sono stata testimone di artiste spesso trascurate e non proposte per importanti mostre. Le istituzioni, per le loro collezioni, prendono in considerazione prevalentemente gli uomini», ha dichiarato Fehily al Guardian.
Il problema è reale, secondo quanto riportato dal Countess Report, le artiste non solo sono poco rappresentate dai media ma spesso vanno in secondo piano nei premi e nelle possibilità di finanziamento. Il report è specificamente dedicato alla situazione in Australia ma, in questi ultimi anni, molti sono stati gli studi simili anche in altre parti del mondo, come Is Gender in the Eye of the Beholder?, un report stilato dall’Università di Oxford che mette in relazione le attitudini culturali e di genere con le valutazioni delle opere in asta. Grazie allo studio sui risultati delle aste, gli esperti hanno scoperto che le artiste sono pagate fino al 47,6% in meno rispetto agli artisti. «Sento che è un movimento mondiale ma c’è ancora molto lavoro da fare per le artiste», ha continuato Fehily.
Finanziata da un privato, la Finkelstein Gallery di Melbourne rappresenterà, almeno inizialmente, un ristretto gruppo di 10 artiste, per seguire e supportare al meglio il loro lavoro, al contrario di quello che succede con le tradizionali gallerie, la cui tendenza è rivolta all’accrescimento e all’ampliamento. Qualcuno potrebbe chiamarla propensione patriarcale. Dunque, la prima mostra presenterà otto artiste australiane, Cigdem Aydemir, Kate Baker, Monika Behrens, Coady, Deborah Kelly, Louise Paramor, Lisa Roet e Kate Rohde, insieme a due artiste provenienti da Regno Unito, Sonal Kantaria, e dal Sudafrica, Kim Lieberman.
Nonostante quello della Finkelstein Gallery sia chiaramente un progetto militante, Fehily è riluttante a definirsi una femminista: «Sono una femminista perché sento che le donne hanno bisogno di maggiori opportunità nel nostro settore. Non sono interessata all’uguaglianza ma a una onesta valutazione».
Nonostante la galleria abbia messo al primo posto le donne, Finkelstein ha previsto anche la possibilità di collaborare con curatori e collezionisti indipendentemente dal genere e non chiude la porta agli artisti, almeno per il futuro.
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