La nuova vita di una città e il suo museo: il MAXXI all’Aquila

di - 11 Giugno 2021

Quando si attraversa il centro storico della città le ferite inflitte dal sisma del 2009 sono ancora aperte e visibili, ma appare chiara una volontà di dimenticare quella tragedia, che ha mutato per sempre la storia del capoluogo abruzzese. E una delle espressioni della voglia di rinascere è senz’altro il Maxxi L’Aquila, un’operazione che sulla carta poteva apparire azzardata e nella realtà si è dimostrata un indubbio successo. Innanzitutto per la scelta del luogo, il settecentesco palazzo Ardinghelli, realizzato nel 1743 dall’architetto Francesco Fontana e affrescato all’interno dal pittore Vincenzo Damini nel 1749. Linee morbide e accoglienti, di vaga ispirazione borrominiana, che trovano nel cortile il perno intorno al quale ruotano gli ambienti del piano nobile, adibiti a spazi espositivi, mentre al pian terreno si trovano i servizi educativi e di accoglienza e al secondo piano una biblioteca di arte contemporanea, ancora in via di allestimento. Il restauro del palazzo, condotto in maniera ineccepibile, ha restituito all’edificio quell’atmosfera intima ed elegante tipica dei palazzi storici nelle città italiane di medie e piccole dimensioni, attraverso il recupero dei pochi arredi rimasti – tra i quali spiccano due magnifici camini in stucco color crema – e l’inserimento di pavimenti in mattonelle a motivi geometrici, discreti e raffinati. Inoltre il rapporto con la scena culturale nazionale e locale, fondamentale per l’apertura di un’istituzione museale in un territorio dove la cultura del contemporaneo non è ancora presente, è stato garantito dalla commissione di opere realizzate ad hoc a 9 artisti, che hanno interpretato l’invito in maniera diversa ma comunque efficace.

Palazzo Ardinghelli, corte interna, foto Andrea Jemolo, courtesy Fondazione MAXXI

Sale e opere al MAXXI L’Aquila

Senza Titolo (2019), l’installazione in legno combusto di Nunzio è collocata nel corridoio prospettico che attraversa il cortile ed unisce i due ingressi del palazzo, quasi “a voler delimitare un percorso dello sguardo”, suggerisce Bartolomeo Pietromarchi. Nella prima sala, in dialogo con le opere di Cattelan, Boetti e Pistoletto della collezione del museo, compaiono i due elementi scultorei dell’opera La città sale (2020) di Elisabetta Benassi: due blocchi di salgemma scolpiti in modo da assomigliare allo skyline di una città turrita, uno più danneggiato e l’altro ancora integro, retto da due elevatori. Un lavoro puntuale e preciso, che unisce suggestioni tratte dalla storia dell’arte, e rimanda sia al capolavoro di Boccioni La città che sale (1910) ma anche “ai modellini che i santi vescovi mostrano nei polittici medievali”, spiega l’artista, che ha avuto il talento di interpretare l’invito in maniera complessa, evocativa e non banale. La scultura in carta di Daniela De Lorenzo Come se (2019) è il risultato di immagini sovrapposte riferibili al corpo dell’artista, che si decostruisce in un volume frastagliato e mutevole, mentre Accedere al presente (2018-2020 ) di Alberto Garutti è una tela stampata a getto d’inchiostro che scorre lentamente attraverso 5 rulli, per mostrare ai visitatori “scenari astratti e stati mentali”.

Palazzo Ardinghelli, allestimento Punto di equilibrio, Elisabetta Benassi – La città sale 2020, Foto Agostino Osio – AltoPiano

La Colonna nel vuoto, L’Aquila (2019) di Ettore Spalletti è stata collocata, per scelta dell’artista, al centro della cappellina settecentesca: una colonna in legno dipinta di bianco che dialoga con la luce naturale proveniente dalla volta. Altrettanto efficaci le commissioni di natura fotografica, assegnate a Stefano Cerio e Paolo Pellegrin. Il primo ha presentato Aquila 7 (2019) , una serie di scatti che vedono protagonista una chiesa e altre architetture gonfiabili inserite nel paesaggio naturale tra Campo Felice e Pescasseroli, mentre Pellegrin espone il progetto L’Aquila (2018), composto da 140 scatti in bianco e nero della città abruzzese, abbinati ad altre immagini a colori di borghi e vedute montuose, colte in una notte di luna piena. L’unica presenza straniera è la giovane artista russa Anastasia Potemkina: il suo progetto Untitled (2019-2020) vede protagoniste le piante infestanti esistenti sul territorio, che Anastasia ricolloca in forme diverse tra il museo e la città. Infine nel corso dell’autunno 2021 il Maxxi L’Aquila sarà il palcoscenico di Three Performances del coreografo Alessandro Sciarroni, chiamato ad interagire con la mostra “Punto di equilibrio”, curata da Bartolomeo Pietromarchi e Margherita Guccione, che riunisce trenta opere provenienti dalle collezioni del museo tra arte, architettura e fotografia. Una selezione efficace ed accurata permette al pubblico di ammirare quattro grandi arazzi di William Kentridge nel salone più grande del museo, una suggestiva installazione sonora di Hassan Khan, le cartoline postali di Yona Friedman, gli scatti poetici ed essenziali di Guido Guidi. Così, l’inaugurazione di quello che Giovanna Melandri ha definito “un laboratorio dedicato alla produzione artistica” ne ha mostrato le ottime potenzialità, per dare ad una città che deve rinascere un nuovo spazio non solo da guardare ma da vivere insieme agli artisti, capaci di costruire il futuro con le loro visioni creative.

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