Nella mostra Ca Maronn c’accumpagn di Iginio De Luca, a cura di Adriana Polveroni, presso lo spazio no profit Blocco 13, a Roma, la pittura è gesto situazionista, processo dinamico e aperto che ripercorre il blitz del 2013, dilatandolo nel tempo, conducendolo, a distanza di dieci anni, all’interno della realtà contingente, attuando di nuovo una lettura e una critica della situazione odierna, non dissimile dalla crisi politica che lo aveva generato. Una ripetizione accurata e meticolosa che cristallizza il momento in cui i grandi dadi vengono accompagnati, rotolanti, lungo la piazza del Quirinale: azione divinatoria ironicamente soccorritrice dello stallo istituzionale.
Scrive Kierkegaard che «La ripetizione propriamente detta ricorda il suo oggetto in avanti», così appare ricordata e ripercorsa l’azione di Iginio De Luca: una ripetizione che si moltiplica, che apre la significazione e rivive negli sguardi degli osservatori, direttamente coinvolti nella scena, tra un prima e un dopo che si mantiene focalizzato e potenziato nel suo essere presenza concreta, nella sua durata sub speciae aeternitatis.
Momento d’ironica critica al reale l’opera Ca Maronn c’accumpagn primariamente agìta nello spazio urbano e istituzionale davanti alla piazza del Quirinale nel blitz del 2013, viene ora a distanza di 10 anni ri-avverata e ripercorsa meticolosamente nel dipinto omonimo, fermando e insieme riaffermando un tempo e una crisi politica ancora tremendamente attuale. Che valore assume per te l’atto della pittura? Quanto è in grado di essere incisiva? Quanta audacia e resistenza ha questo linguaggio anche da un punto di vista politico?
«La pittura è un filtro contemplativo che s’innesca naturalmente ogni volta che guardo, un’attitudine mentale più che manuale che si plasma sulla realtà e romanticamente ne decifra l’essenza. Non c’è un mio blitz, un’installazione o un video che non contempli nel proprio germe il suo incipit rivelatore. Un dipingere segreto mai svelato che dura da 57 anni e che ho preservato gelosamente dalle incursioni mondane forse con eccessivo pudore, un ponte cruciale con la mia infanzia che oggi, con questa mostra, diventa un blitz a me stesso prima che agli altri.
I contrasti tonali del quadro teatralizzano uno spazio istituzionale, i valori cromatici assumono, in un campo visivo magnetico, urgenza etica oltre che prospettica; un lancio di dadi incisivo, estetico e concettuale che, ripetuto per dieci anni, diventa un evento infinito, ciclico e stratificato. Nelle pennellate solitarie e ossessive, il quadro modifica la dimensione eclatante e pubblica del raid e il dipingere diventa un’azione intima, privata ma altrettanto performativa che, velatura dopo velatura, ribadisce con forza una critica insistita e graffiante al sistema politico, a quel meccanismo, tutt’ora in vigore, autistico e cronico che denuncia impotenza e incapacità».
Bloccata nell’istante come narrazione mimetica e insieme poietica paradigmatica, irriverente e mordace, l’opera conserva uno spirito insieme serio e ludico, dove nella sfera dei ludi publici confluiscono sacralità, rito e valore socioculturale, antitetico al puerilismo politico. Scrive Huizinga in Homo Ludens: “Nel criterio del valore etico si decide l’eterno dubbio di gioco o serietà. Chi nega il valore oggettivo di diritto e norme morali, non troverà mai il limite fra gioco e serietà. La politica è fissata con tutte le sue radici nel terreno primitivo di cultura, giocata in competizione. [..] E così siamo giunti ad una conclusione: cultura vera non può esistere senza una certa qualità ludica”. Sei d’accordo con questa visione? Quanto incide la sfera ironica nell’atto di denuncia e protesta?
«La denuncia può essere descrittiva e arida o può trasformarsi in pretesto escatologico per un gesto creativo che trasfigura il quotidiano in metafora, un volo pindarico della cronaca, effimero e fragile, apparentemente inutile ma, per me, necessario. Situazionisti e paradossali, i blitz che ho realizzato fino al 2018 hanno spesso permeato lo spazio pubblico d’ironica dissacrazione, ready made ambientali come li chiamava Franco Speroni, che manomettevano una realtà consueta in virtù di slittamenti di senso e corti circuiti semantici. Il gioco sarcastico e irriverente spesso celava una crepuscolare malinconia, componente caratteriale che da sempre mi accompagna nell’arte come nella vita. L’ironia e la leggerezza intervengono come antidoti, non tanto a smorzare i toni quanto a ravvivarli con punti di vista alternativi, a potenziare quello che altrimenti sarebbe uno sguardo ovvio e prevedibile sul mondo, privo di chiaroscuri vitali».
Da un’azione compiuta e conclusa nel blitz al tempo altro e fisso della pittura che la espande, la rende momento meditativo. Che visione ritmica hai di questi due tempi della creazione artistica? Quanto questo passaggio di linguaggi ha sfidato te stesso e la tua poetica?
«La mia poetica vive di ossimori e questo dipinto offre un’ulteriore riflessione sui meccanismi creativi della mia ricerca che, come scrive Pietro Gaglianò in un recente testo, “[…] fluttuano in una sequenza di concetti posti in forma di diadi: immersione-emersione, visibile-invisibile, pubblico-privato, spazio interno-spazio esterno. La ricerca di De Luca si articola in una serie di punti di mancato equilibrio tra i poli di questa costellazione (tanti auguri e saluti, 2023, Galleria Marina Bastianello, Mestre)”. Aggiungerei una diade temporale in cui dilatazione e compressione hanno in comune un’idea e un titolo che a distanza di 10 anni si esprimono contemporaneamente in una felice convivenza di opposti. Una scomposizione dell’attimo che distorce il blitz in un fermo immagine infinito, metafisico, un quadro che diventa una finestra temporale, come scrive Valentina Muzi».
Traccia che fissa l’impermanenza del movimento, la pittura in Ca Maronn c’accumpagn diviene evento, partecipato di nuovo o per la prima volta dai fruitori che vivono in un paradossale continuum temporale tra ciò che è stato e ciò che ritorna alla visione come figurazione e concetto, reiterato anche nella congiuntura attuale. Tra forza dell’immagine come reenactment e realtà dell’azione, che prospettive intravedi nel tuo lavoro per l’una e l’altra? Che ruolo politico o di resistenza riconosci ad entrambe?
«Un ruolo politico possiamo avercelo tutti, sia nell’una sia nell’altra declinazione dell’opera, perché nel quadro come nel blitz c’è un invito all’immaginazione, che è un’attività politica oltre che ludica, a completare il lavoro, ad accompagnare il mio gesto. Tutti noi possiamo essere complici e anche un po’ situazionisti, almeno con la fantasia. Alain Badiou parla dell’evento come di un avvenimento eccezionale che segna un distacco dalla realtà, si frappone a spezzare un flusso, una cadenzata monotonia.
Mi piace pensare alla pittura come un evento che rompe certezze, un momento collettivo e politico oltre che estetico, un quadro che invita a una partecipazione in differita e a distanza dei fatti accaduti, una documentazione atipica, un’ibridazione tra azione e meditazione in un incessante detournement di senso e di letture. Una pratica statica non esclude un’impresa dinamica, la pittura scorre sotterranea in ogni mio lavoro, come il gesto performativo vibra dentro la pennellata; ogni linguaggio ha implicitamente nella sua essenza parte dell’altro, a ribadire un incessante scambio di ruoli e una ripetuta, costante incoerenza di pensiero».
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