L’artista multidisciplinare e regista Shu Lea Cheang, pioniera della net art, ha vinto la seconda edizione dell’LG Guggenheim Award. Dedicato agli artisti che lavorano con la tecnologia, con un riconoscimento di 100mila dollari, il premio è promosso nell’ambito della collaborazione quinquennale tra il Guggenheim Museum e LG, la società sudcoreana leader nella tecnologia.
«Shu Lea Cheang è stata una delle prime a riconoscere il potenziale liberatorio del mondo digitale», ha affermato in una nota Naomi Beckwith, vicedirettrice e curatrice capo del Guggenheim. «Celebriamo le sue audaci esplorazioni dei corpi e dei loro desideri, nei nostri mondi digitali e analogici». La giuria dell’LG Guggenheim Award di quest’anno comprendeva la vincitrice della prima edizione, l’artista Stephanie Dinkins, Noam Segal, curatore associato di LG Electronics al Guggenheim, la curatrice e responsabile del settore arte contemporanea del SFMoMA Eungie Joo, Koyo Kouoh, direttrice esecutiva e capo curatrice allo Zeitz Mocaa, e Carolyn Christov-Bakargiev, ex direttrice del Castello di Rivoli.
«Traendo ispirazione dalla letteratura e dal cinema di fantascienza, nonché dai giochi, i progetti e le sperimentazioni di Cheang nei campi dell’arte e della tecnologia presentano un’affascinante panoramica delle tecnologie avanzate», si legge nelle motivazioni della giuria. «Cheang offre continuamente nuove interpretazioni dei cambiamenti tecnologici e dei loro effetti sulle nostre società, e la sua vasta produzione è, e rimarrà, molto influente per generazioni».
Nata a Taiwan, il 13 aprile 1954, Shu Lea Cheang ha vissuto e lavorato a New York negli anni ’80 e ’90, per trasferirsi in Europa nel 2000. Ha conseguito una laurea in storia presso la National Taiwan University nel 1976 e un master in Cinema Studies presso la New York University nel 1979. Poco dopo essersi trasferita a New York, si unì al collettivo Paper Tiger Television e iniziò a produrre programmi settimanali dal vivo che utilizzavano canali ad accesso pubblico per raggiungere gli abbonati via cavo. Nei primi anni duemila, dopo aver viaggiato tra Giappone, Olanda e Regno Unito, si è stabilita a Parigi, dove attualmente vive e lavora.
Dagli anni ’80, come artista multimediale e dei nuovi media, ha esplorato i temi degli stereotipi etnici, delle politiche sessuale e dell’oppressione istituzionale con le sue sperimentazioni radicali nell’ambito digitale. È considerata una figura pionieristica, in particolare, nella Net Art, con il suo approccio multimediale, tra film, video, software e installazioni, basato sull’interazione con Internet.
Shu Lea Cheang è stata la prima donna a rappresentare Taiwan alla 58ma Biennale di Venezia, nel 2019. Il suo lavoro site-specific è stato installato presso il Palazzo delle Prigioni, di fronte al Palazzo Ducale in Piazza San Marco. Curata dal filosofo Paul B. Preciado, l’installazione immersiva rifletteva sulle tecnologie pervasive di controllo, ispirandosi ai casi storici e contemporanei in cui le persone sono state imprigionate a causa del loro genere, orientamento sessuale o razza.
Una sua installazione multimediale, RED PILL, che indaga le modalità attraverso cui le tecnologie influenzano i meccanismi sociali e normativi dei nostri corpi, è stata recentemente presentata nella mostra HOPE al Museion di Bolzano. L’opera è entrata a far parte della collezione permanente grazie al PAC2021 – Piano per l’Arte Contemporanea, promosso dalla DGCC – Direzione Generale Creatività Contemporanea del MIC – Ministero della Cultura.
Con il Guggenheim aveva già avuto modo di collaborare in passato: per la prima commissione di web art del museo newyorchese, realizzò Brandon, un progetto narattivo web based sviluppato tra il 1998 e il 1999 e incentrato sulle questioni della fusione di genere e del tecno-corpo sia nello spazio pubblico che nel cyberspazio, a partire dal caso di cronaca dell’omicidio di Brandon Teena, un giovane transgender violentato e ucciso nel Nebraska. Il progetto è stato anche uno dei primi casi di restauro di Net Art. Infatti, nel corso del tempo, con l’evoluzione dei browser, Brandon è diventato obsoleto e non è stato possibile fruirne fino al 2017, quando l’opera è stata restaurata digitalmente e resa nuovamente visibile al pubblico, in un’iniziativa congiunta del dipartimento di conservazione del Guggenheim e del dipartimento di informatica della New York University. Il sito è attualmente accessibile all’indirizzo brandon.guggenheim.org.
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