Partendo dalla tradizione italiana, Sebastiano Bottaro ha sviluppato uno stile profondamente soggettivo, basato sul primato dell’immaginazione: da Tiziano ha appreso l’uso espressivo del colore, da El Greco e dagli altri artisti del manierismo (ma non di quello di marca intellettualistica ed esteriore) ha attinto le linee sinuose e allungate, approdando a una pittura tormentata, carica d’intensità emotiva, di ascendenza espressionista che ben racconta la fragilità del momento attuale. I suoi dipinti, sospesi tra reale e immaginario, tra il melanconico e il metafisico alla Bas Jan Ader, seguono le tracce della memoria collettiva per esplorare le tematiche di una società contemporanea alla ricerca di una sua identità.
Costantemente basate su una pulsione performativa, le sue tele prendono pertanto la forma di perlustrazioni, di “passeggiate” nei luoghi di quella che Jung definì “psiche oggettiva”, comune a tutti e che dirige il sé attraverso archetipi, sogni e intuizioni. Qui si affacciano gli oggetti popolari tra magia e religione dell’infanzia dell’artista a Palazzolo Acreide (Siracusa), immersa nei culti pagani e nel credo cristiano degli Iblei, dalle maschere del carnevale a quelle dei “cagnoli”, i demoni dagli occhi convessi che spuntano dai muri delle case a sostegno dei balconcini barocchi.
Nella loro transitorietà e incompletezza, le tele di Bottaro sussumono così a catalizzatori di realtà alternative, mere possibilità, che scaturiscono dall’immaginazione e che riscattano e reincantano la realtà circostante così come la conosciamo. Come le 100 piccole carte dipinte a olio con l’innesto su ciascuna di un piccolo occhio di quelli dei peluche per bambini. Sono degli amuleti che l’artista distribuisce agli opening scegliendo due o tre destinatari, dopo del tempo ricontattati per chiedere se gli oggetti hanno funzionato e se hanno manifestato un qualche potere sovrannaturale.
Gli attraversamenti di Bottaro da metaforici diventano, dunque, fisici travalicando senza interruzione i limiti definiti dagli specifici linguaggi artistici. La sua dimensione espressiva comprende infatti anche il disegno, la scultura, l’installazione, il video. E, soprattutto, la performance animata da una sensibilità al contempo poetica e provocatoria a mo’ di David Hammons, di forte e disturbante impatto fisico e psicologico come Vito Acconci docet. Senza trascurare l’inquietante teatro ordito da Rebecca Horn – altro modello di riferimento di Bottaro – all’interno del quale convivono ossessione, desiderio e relazioni di potere, un habitat speculare rispetto allo spazio definito dalle relazioni umane.
Da qui prende corpo la sua riscrittura della realtà a partire dalla sur-realtà di azioni che lambiscono l’assurdo e il paradosso. Come nella video-performance Resurrection (2’28’’) del 2020, nella quale l’artista fa “risorgere” László Tóth, l’australiano passato alla storia come il vandalo più famoso di sempre, vibrando quindici martellate contro la Pietà di Michelangelo.
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