La Quadriennale riapre: parola ai curatori

di - 2 Febbraio 2021

Sarah Cosulich e Stefano Collicelli Cagol raccontano la loro Quadriennale a Palazzo delle Esposizioni, inaugurata lo scorso 30 Ottobre e rimasta aperta al pubblico una sola settimana a causa delle recenti restrizioni anti-Covid. Contenuti, visioni e scelte strategiche spiegate in attesa di poter, finalmente, godere di una mostra tanto attesa che riaprirà dopodomani.

Stefano, tu hai definito questa Quadriennale come una mostra “visionaria”. Partiamo da qui?
S.C.C.: Con Sarah abbiamo voluto pensare a una mostra che potesse essere alla portata dei pubblici più differenti e che battesse sentieri ancora poco conosciuti dell’arte contemporanea. Secondo questo punto di vista per noi è stato molto importante indagare la storia delle diverse discipline con le quali ci siamo confrontati – dal teatro alla moda, dal design all’architettura – che promuovono una visionarietà alternativa, attraverso le quali le arti visive si sono, contaminandosi, arricchite di immaginari che non sempre appartengono alla tradizione storico-artistica. Abbiamo voluto presentare opere e artisti che non solo erano stati poco riconosciuti, ma i cui immaginari ci risuonavano in maniera forte con le domande poste dal presente.

Quadriennale d’arte 2020 FUORI, veduta dell’allestimento. In primo piano, Micol Assaël; alla parete, Irma Blank, courtesy Fondazione La Quadriennale di Roma, foto DSL Studio

C’è questo titolo, FUORI, che si ripete come un mantra in tutti i canali della mostra e si presta a tantissime interpretazioni. Quali sono le vostre?
S.C.: FUORI per noi è appunto l’intento uscire dalle categorie che nell’arte italiana sono state predominanti e hanno talvolta limitato la conoscenza di artisti importanti ma difficilmente richiudibili all’interno di classificazioni precise. Questo aspetto emerge nel lavoro degli artisti pionieri in mostra. Inoltre c’è stato anche il voler uscire dalle categorie di genere: ci interessava il femminile – quindi non necessariamente legato a un discorso femminista o politico – ma anche gli immaginari queer, nella convinzione che l’identità di genere e il desiderio, anche quello erotico, siano pulsioni fondamentali nella creazione dell’opera. FUORI ha voluto poi rendere omaggio all’associazione FUORI! che negli anni Settanta ha contribuito all’emancipazione dei diritti degli omosessuali nella società italiana. Volevamo anche giocare con il titolo in senso allargato: fuori gioco, fuori di testa, fuori schema, fuori luogo…

Giochiamo allora! FUORI dall’autoreferenzialità dell’arte contemporanea? FUORI come desiderio di uscire dalle nostre case?
S.C.: L’arte contemporanea tende ad essere considerata spesso di difficile lettura dal grande pubblico: anche per questo abbiamo cercato di mostrare la volontà dell’istituzione di andar FUORI da una visione dell’arte più elitaria. FUORI dal museo verso la città e il pubblico: ne è un esempio il lavoro di Norma Jeane, che abita l’edificio di notte, quando l’arcata di Palazzo delle Esposizioni pulsa di luce a seconda della frequenza del respiro dell’artista; un’opera particolarmente rilevante in relazione ai tempi in cui viviamo, dal Covid al Black Lives Matter. In mostra ci sono altre due opere che oggi possono essere rilette attraverso l’idea del respiro: le pennellate gestuali sulle tele di Irma Blank, che ne riflettono la durata, e l’ambiente spaziale di Cloti Ricciardi, una sala che respira attraverso l’interazione con il visitatore. Certamente poi FUORI si lega anche al desiderio di uscire durante il lockdown, quando era ciò che tutti noi desideravamo fare.

Michele Rizzo, veduta dell’allestimento, Quadriennale d’arte 2020 FUORI, courtesy Fondazione La Quadriennale di Roma, foto DSL Studio

Abbiamo chiarito il denominatore comune. Ci sono altre tematiche che connettono i lavori tra di loro?
S.C.C.: Abbiamo individuato nel glam la modalità di leggere gli artisti – da Salvo a Maurizio Vetrugno, fino alle giovanissime Lorenza Longhi e Caterina De Nicola. È una linea presente nell’arte italiana che non è stata finora molto approfondita, quando invece secondo noi è una riflessione estremamente precisa nel voler selezionare un certo tipo di estetica. Ci ha permesso di portare alla luce queste individualità separate che da sessant’anni hanno toccato, senza magari neanche conoscersi, dei punti molto simili. La dimensione progettuale e quella dell’incommensurabile (oltre la misura rinascimentale) sono insieme alla linea del desiderio altre tre aree di forte attrazione per le pratiche artistiche sviluppate in Italia.

Anche l’allestimento della mostra sembra avere un linguaggio tutto suo. Un percorso diverso dal solito.
S.C.: Abbiamo invitato l’architetto Alessandro Bava a elaborare un percorso che riflettesse l’importanza che insieme a Stefano volevamo dare al display, anche in relazione alla storia del palazzo. Alessandro ha compiuto una ricerca sulle passate Quadriennali e sulla storia dell’edificio che ha ospitato mostre importanti in passato e che negli anni Trenta è stato sede di esposizioni di propaganda fascista. Il palazzo è stato trasformato da un allestimento che ha risposto alle esigenze di presentazione dell’opera degli artisti ma che, al tempo stesso, guida il visitatore attraverso un percorso nuovo e incalzante nello spazio.
Parliamo dei veri protagonisti. Guardando ai numeri, abbiamo 43 artisti totali, di cui 14 under 35 e 29 alla loro prima volta in questa manifestazione. C’è una presenza di giovani e giovanissimi importante.

S.C.C.: La Quadriennale è sempre stata un’istituzione a supporto dell’arte italiana con uno sguardo speciale ai giovani. Noi abbiamo voluto inserirci all’interno di questa vocazione dedicando i primi due anni della nostra attività ai workshop di Q-Rated, pensati per artisti e curatori tra i 23 e i 35 anni, che hanno potuto incontrarsi tra di loro e conoscere esperti internazionali. Questa Quadriennale ha anche il minor numero di artisti totali, perché abbiamo voluto che si potesse veramente immergersi dentro ai loro immaginari. Tra i nostri record c’è anche il fatto che abbiamo dato maggiore visibilità alle artiste: abbiamo il maggior numero di donne nella storia dell’istituzione, che in passato è stata parca di presenza femminile. I giovani sono comunque la maggioranza, per dare risalto alle loro posizioni di ricerca e mostrare che non sono totalmente fluttuanti nel vuoto del presentismo, ma si ricollegano a determinati punti preesistenti nell’arte italiana.

Sylvano Bussotti, veduta dell’allestimento, Quadriennale d’arte 2020 FUORI, courtesy Fondazione La Quadriennale di Roma, foto DSL Studio

Questo anche in ottica di aiutare questi giovani artisti ad essere notati dal panorama internazionale?
S.C.: Infatti. La lettura dell’arte italiana a livello internazionale sembra quasi procedere per blocchi: ci sono gli artisti italiani storicizzati, conosciuti e venerati; poi ci sono artisti italiani contemporanei molto noti come Cattelan, Stingel, Vezzoli e pochi altri…. C’è però un totale vuoto rispetto alla conoscenza dei giovani, che invece all’estero non hanno visibilità, come se non esistesse un seguito o una continuità nell’arte italiana. Sembra quasi che per un artista italiano essere contemporaneo significhi non rientrare nella categoria dell’arte italiana, che ha un’immagine predefinita e immobile. Al di fuori dei nostri confini, esiste un reale problema di visibilità e di promozione dei nostri artisti, dei giovani in particolare.

Chiudiamo parlando di quello che succederà, per quanto possibile. C’è qualche appuntamento collaterale da segnalare ai lettori?
S.C.: La mostra avrebbe doluto essere accompagnata da un public program, che però è venuto a mancare a causa delle circostanze in cui ci troviamo e delle nuove restrizioni. Anche la parte performativa ha subito dei compromessi, basti pensare al progetto del coreografo artista Michele Rizzo, Rest, un’installazione scultorea accompagnata da una performance che siamo riusciti a realizzare solo parzialmente. Siamo però riusciti a portare avanti il progetto commissionato allo storyteller Luca Scarlini sull’archivio della Quadriennale: abbiamo invitato Scarlini a “performare” l’archivio e lui lo ha interpretato liberamente, mettendo in relazione documenti e materiali della storia dell’arte italiana di questo secolo con gli artisti in mostra. Sarebbe dovuto essere un evento performativo, ma sarà proposto su video online, una risorsa fondamentale anche per i periodi di forzata interruzione della mostra.

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