Libertà è partecipazione, cantava Giorgio Gaber. Invitando a prendere parte alle “cose del mondo” per poterlo cambiare. Ma ci sono diverse interpretazioni del significato di questa parola. Jr, l’artista francese nato a Parigi nel 1983, noto per la sua particolare tecnica di collage fotografico, è il protagonista della stagione di mostre e eventi tra Milano e Torino in questa prima parte del 2023. Dopo Inside Out, la grande installazione pubblica all’Arengario in Piazza del Duomo a Milano, ha inaugurato la grande personale alle Gallerie d’Italia di Torino, Déplacé-e-s (Sfollati), fino al 16 luglio: un’apertura preceduta da una grande performance che ha coinvolto tutta la cittadinanza, nella quale enormi ritratti di cinque bambini incontrati nei campi profughi dove ha lavorato (Mauritania, Ruanda, Colombia, a Lesbo in Grecia e in Ucraina), stampati su teli di 45 metri, sono stati portati da più di mille persone in Piazza San Carlo. <<Ci aspettavamo 400 presenze e invece ne sono arrivate quasi il triplo. L’azione doveva durare 40 minuti, ma è durata 2 ore! Per chi ne ha preso parte esserci era come esprimere la volontà di fare qualcosa per loro. Partecipare nell’atto di sorreggere un pezzo di queste enormi sagome può risultare una metafora dell’aiuto che ognuno di loro gli avrebbe voluto offrire>>, spiega Michele Coppola, direttore Centrale Arte, Cultura e Beni Storici di Intesa Sanpaolo e Direttore delle Gallerie d’Italia. È stato un po’ come prenderli per mano, come ci ha spiegato lo stesso JR in questa intervista.
Come avete selezionato le persone?
Nessuna selezione! Abbiamo scritto una mail sul sito per il progetto e hanno risposto circa 1400 persone. Una bella sorpresa, perché la mia arte è di tutti.
Come avete organizzato i movimenti? È stato come un grande spettacolo coreografico.
Io e il mio team abbiamo fatto in modo che tutto fosse organizzato, affinché la performance funzionasse: cinque gruppi sono arrivati in piazza da cinque vie intorno. Il resto lo ha fatto il caos, che è un grande fattore creativo. Era importante unire le persone e far viaggiare le loro storie. E così alla fine è sembrato che quei ragazzini stessero giocando davvero insieme per la prima volta.
Quello che è successo in piazza San Carlo è il frutto di un lungo lavoro precedente…
Sì. Tutto è partito da una domanda: che ruolo può avere l’arte in un contesto di guerra? E ancor prima, ce n’è bisogn? L’arte non è politica, l’arte fa domande. E il senso di un’opera è la gente. Anche quando c’è solo l’autorizzazione della gente e non di altri. Come quando è stato fatto il picnic al confine tra Messico e USA, che era totalmente illegale.
Ma il progetto di Torino è nato in Ucraina…
È iniziato con la foto di una bambina che era sul telefono di un fotografo in Ucraina, Valeria, il cui ritratto è stato portato in “processione”. Ma il progetto non si riferisce solo all’Ucraina, ma anche ad altri posti e campi profughi dove sono andato e in cui non potevo incollare i miei ritratti, poiché non c’erano superfici adatte. Questa volta ho trovato un altro modo: far portare le enormi sagome dei ritratti dalle persone, come avevo fatto per la Galleria Continua a San Gimignano con la performance Omelia contadina. Perché è fondamentale che le persone si uniscano e partecipino. Così una processione diventa una performance d’arte e le riunisce tutte insieme. Questi cinque bambini si “riuniscono” qui a Torino insieme per la prima volta.
Perché ha scelto dei bambini?
Perché hanno meno coscienza di ciò che di tragico sta succedendo intorno a loro. Hanno molta energia, che possono trasmettere ai grandi. Loro sono la speranza.
Se non avessi avuto la tecnologia, intesa come web e social in questo caso, saresti riuscito comunque a realizzare i tuoi progetti artistici?
Sarebbe stato molto difficile. Da questo punto di vista la mia generazione è stata fortunata. Ha più facilità a mostrare i propri lavori. E anche gli spostamenti sono più facili grazie ai voli low cost. Gli scambi sono facilitati. E così io giro tutto il mondo per raccontare.
L’arte può cambiare il mondo?
All’inizio non lo credevo, e invece mi sbagliavo. A volte si riesce a intervenire, qualcosa si riesce a modificare. Per esempio, quando ho fatto il mio lavoro di ritratti a chi era incarcerato in una prigione di massima sicurezza in California, è successo che alcuni di loro venissero rilasciati. Perché li ho riportati all’attenzione di chi dirigeva la struttura, mettendo in risalto il cambiamento che era avvenuto in loro.
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