In occasione della 60ª Esposizione Internazionale della Biennale di Venezia, presso il cortile dell’Accademia di Belle Arti di Venezia, è stata realizzata l’installazione dall’artista, performer e scrittrice Josèfa Ntjam, promossa dalla LAS Art Foundation. L’evento collaterale, Swell of Spæc(i)es, vuole presentarsi come una realtà parallela immersa nel contesto veneziano; un prisma a base triangolare, realizzato dall’architetta Giulia Foscari, è stato progettato all’interno del cortile dando l’impressione di essere calato dal cielo, a creare un effetto alieno all’interno della cornice cinquecentesca del palazzo. Questa idea di capsula aliena non anima solamente la struttura esterna del padiglione ma anche il suo interno. Appena varcata la soglia, ci si ritrova in uno spazio buio, illuminato da uno schermo luminoso che ricopre un intero lato del prisma. Qui vi è proiettata una video installazione che ci permette di immergerci all’interno di una simil navicella spaziale che ci presenta una finestra aperta su un mondo alieno.
La nostra percezione della realtà si trasforma, conformandosi a questo nuovo immaginario, nel quale veniamo rapiti e coinvolti grazie all’atmosfera di luci e suoni dai quali siamo avvolti. Ed ecco che lo schermo-finestra si anima di forme materiche che ricordano vermi, polipi e cellule, dalle forme libere e sinuose che sfidano la nostra percezione del reale. Ad avvolgerci ulteriormente vi sono le strutture di simili-meduse e di membrane cellulari, che illuminate vanno a richiamare la bioluminescenza marina.
Curiosi di saperne di più, abbiamo parlato con Carly Whitefield, curatrice del progetto, affiancata da Sophie Korschildgen e Zoe Büchtemann, al fine di scoprire la genesi e l’ideazione di Swell of Spæc(i)es.
Quale è stata l’ispirazione iniziale dietro questa collaborazione con la giovanissima artista, performer e scrittrice Josèfa Ntjam, ci descriveresti le prime fasi di concettualizzazione di questa innovativa e complessa installazione?
«LAS Art Foundation da sempre sostiene il lavoro degli artisti che affrontano domande critiche sul nostro futuro, ed infatti la conversazione con Josèfa Ntjam nel 2022 è nata dal fatto che siamo stati ispirati dalla sua modalità, molto vivida e poetica, con cui canalizza la scienza, la mitologia e le storie decoloniali in immaginari del futuro. Da tempo ha studiato gli oceani, lo spazio esterno e le narrazioni che essi presentano. Lei ha dunque proposto una mostra che racconta un mito di creazione circolare basato proprio su tali ricerche. Durante la fase di sviluppo del progetto, Ntjam ha tenuto scambi con scienziati marini, ha sperimentato con vari materiali di origine biologica per creare sculture, ha ampliato il suo team di animazione CGI e ha lavorato con specialisti in simulazione e IA generativa. Questo ha portato allo sviluppo dell’installazione presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia, che assume la forma di un ambiente ultraterreno animato da un film ciclico e sculture sonore; e dello spazio satellite presso la Palazzina Canonica dell’ISMAR, che invita il pubblico a espandere l’universo mitologico di Ntjam creando nuove specie ibride di plancton».
Il tema del plancton è centrale nell’installazione di Josèfa Ntjam, potresti spiegarci come si è sviluppata l’idea di usare tale elemento biologico come punto di convergenza tra concetti mitici e scientifici; inoltre cosa lo rende un simbolo così efficace in questo immaginario proposto?
«Il plancton è vitale per il pianeta, ma spesso viene trascurato perché è per lo più microscopico. Non può nuotare, quindi migra sulle maree e correnti, ma allo stesso tempo contribuisce a formazioni antiche come il fondale oceanico attraverso la sedimentazione dei loro scheletri. In effetti, uno dei punti di partenza per swell of spæc(i)es è stata l’identificazione recente, nei detriti di un ex pianeta che orbitava attorno ad una nana bianca, di calcare, il quale – per l’appunto – si forma principalmente attraverso questo processo di sedimentazione degli scheletri marini nel fondale. Questo ha portato Ntjam ad avvicinarsi al plancton come punto di convergenza speculativo tra mare e pietra, Terra e spazio; nella sua narrazione, il plancton è un simbolo di trasformazione e un portatore di memoria oceanica».
L’aspetto sensoriale emerge in modo preponderante nell’esposizione: suoni, immagini sono determinanti per immergere l’osservatore in questo immaginario alieno. Come curatrice, quali erano i tuoi obiettivi principali nel presentare swell of spæc(i)es, come speri che il pubblico risponda all’installazione e che impatto desideri abbia nei suoi spettatori?
«Swell of spæc(i)es è un’opera sia multisensoriale che stratificata. Ritengo che per me sia fondamentale che i visitatori di tutte le età e provenienza possano sperimentarla attraverso i loro corpo e sensi, senza dover leggere le informazioni di background. Nell’installazione, i personaggi, i suoni e le storie si trasformano insieme in paesaggi, che sembrano – allo stesso tempo – sia cosmici che marini. Si può davvero sentire la centralità della trasformazione, dell’ibridità, del rinnovamento, dell’interconnessione e dell’importanza di unificare mondi diversi semplicemente osservando, udendo e sentendo. Ntjam ha fatto uno splendido lavoro nel creare questa esperienza di altro-spazio in modo uniforme, attraverso l’ausilio di vari e differenti media – dalla potente colonna sonora del film, alla narrazione che emana dalle docce sonore di meduse, fino alle frequenze e vibrazioni della scultura a membrana in cui ci si può sdraiare».
Infine, tornando al contesto nel quale l’installazione si colloca, ossia la 60ª Biennale di Venezia – il cui tema di quest’anno è Stranieri Ovunque -, come ritieni che swell of spæc(i)es si inserisca al suo interno?
«LAS è molto lieta di presentare il lavoro di Josèfa Ntjam in un forum come La Biennale di Venezia perché rappresenta un luogo importante per lo scambio transnazionale. Ntjam è un’artista il cui lavoro non solo trascende i confini dell’identità nazionale, ma che affronta inoltre le complesse interconnessioni che modellano la vita planetaria, i nostri passati e futuri. Il suo progetto si collega in modo significativo con l’impulso di decentrare lo sguardo occidentale e raccontare storie da diverse prospettive per vedere la nascita di immaginari e connessioni nuovi».
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