Veronica Ryan è la vincitrice del Turner Prize 2022, uno dei riconoscimenti più importanti nel settore dell’arte contemporanea. L’annuncio è stato dato nella serata di ieri, durante una cerimonia nella St. George’s Hall di Liverpool. La mostra delle finaliste del Turner Prize 2022 – oltre a Veronica Ryan anche Heather Phillipson, Ingrid Pollard e Sin Wai Kin – sarà visitabile alla Tate Liverpool fino al 19 marzo 2023. Ryan è stata nominata, in particolare, per la sua mostra del 2021, “Along a Spectrum”, tenuta al centro d’arte contemporanea di Spike Island, a Bristol, e per il suo monumento pubblico, commissionato dall’Hackney Council, per onorare la “Windrush Generation”, cioè la generazione di persone immigrate dai Caraibi al Regno Unito, che si fa iniziare simbolicamente a partire dal 1948.
Scultrice raffinata, conosciuta per la sua capacità di tradurre materiali diversi in forme poetiche ma anche penetranti, quelli del colonialismo e del postcolonialismo sono temi che Ryan sente particolarmente: l’artista è infatti nata nel 1956 a Plymouth, oggi città fantasma e capitale de jure dell’isola di Montserrat, un territorio d’oltremare del Regno Unito situato nella catena delle Isole Sottovento delle Piccole Antille, nelle Indie Occidentali. A 66 anni, è diventata la vincitrice più anziana nei 38 anni di storia del prestigioso premio. «Meglio tardi che mai», ha dichiarato alla BBC, considerando anche che, fino al 2016, erano ammessi solo artisti di età inferiore ai 50 anni.
Nominata OBE – cioè Membro eccellente dell’Impero Britannico – dalla Regina l’anno scorso, è stata scelta per il «Modo personale e poetico con cui estende il linguaggio della scultura», secondo la dichiarazione della giuria, presieduta da Alex Farquharson, direttore della Tate Britain, e Helen Legg, direttrice della Tate Liverpool, e composta da Irene Aristizábal, Head of Curatorial and Public Practice di BALTIC, Christine Eyene, Docente di Arte Contemporanea alla Liverpool John Moores University, Robert Leckie, Direttore di Spike Island, e Anthony Spira, Direttore della Galleria MK. «La sua pratica recente combina oggetti trovati e solitamente dimenticati e materiali artigianali, sostenuti da temi come lo spostamento, la guarigione e la perdita».
Ryan si trasferì nel Regno Unito da giovanissima e per le sue opere utilizza oggetti come frutti, semi e cenere vulcanica della sua isola natale: Plymouth è stata costruita infatti su depositi di lava del vulcano Soufrière Hills e la città è stata evacuata nel 1995, quando ha ripreso a eruttare. Nella sua ricerca, Ryan affronta questioni di storia e di appartenenza, utilizzando una vasta gamma di materiali, tra cui bronzo, gesso, marmo, tessuto e oggetti trovati.
Rifiutando una narrazione che procede in linea retta, Ryan predilige le associazioni mentali estemporanee, interpretate come metafore per lo spostamento, la frammentazione e l’alienazione. Le sue sculture assumono forme organiche ma resistono a un’interpretazione definitiva, consentendo l’emergere di molteplici interpretazioni. Temi come le reti storiche di scambio intergenerazionale e commerciale, insieme ai cicli di morte e rinascita, crollo ambientale e trauma collettivo, attraversano la sua pratica artistica.
Realizzati durante una lunga residenza a Spike Island, i lavori esposti per la mostra “Along a Spectrum” indagano la percezione, le narrazioni personali e le più ampie implicazioni psicologiche della pandemia. Le opere prodotte per la mostra includevano forme fuse in argilla e bronzo, tessuti cuciti, macchiati di tè e tinti, luminosi sacchetti di filo da pesca all’uncinetto al neon pieni di varietà diverse di semi, noccioli di frutta e bucce.
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