Prove per un paesaggio d’insieme è l’esposizione corale che il collezionista e consulente finanziario Fabio Agovino ha voluto condividere, a Napoli, con i colleghi della Zurich Bank ma, soprattutto, con la collettività. Basta dare un’occhiata alle opere esposte, per intuire la passione che si cela dietro alla realizzazione di una collezione concepita come manifesto critico dei nostri tempi. Ed è proprio ragionando sul tempo che scandisce le nostre giornate lavorative e festive, che il collezionista, insieme alla curatrice Francesca Blandino, ha selezionato per la nuova sede della Zurich bank, in uno dei palazzi piu belli e storici di via dei Mille, Palazzo Leonetti, 21 opere di artisti internazionali.
Agovino ci racconta di aver iniziato con un’opera di Mario Schifano, quando non aveva ancora nemmeno una parete per poterlo ammirare. Da allora, in collezione si sono aggiunti lavori di artisti come Peter Fend, Marinella Senatore, Francesco Jodice e Simon Denny e, ancora, di Adelita Husni-Bey, Simon Fujiwara, Joanna Piotrowska.
In quello che di solito è percepito per lo più come spazio di lavoro, fatto di numeri e colletti inamidati, si cela la possibilità di un luogo altro, che si fa custode ed espositore di valori da non dimenticare e che potrebbero essere al centro dei talk sul piacere di collezionare, previsti da Agovino.
L’occasione di poter vedere insieme delle opere che normalmente fanno parte di una collezione privata e quindi non sempre e non a tutti accessibili, inoltre, permette di scoprire sinergie tra opere di artisti diversi che rispecchiano l’intuizione del collezionista. Nel caso di Agovino, traspare una visione attenta ai significati della contemporaneità più che alle sfrenate mode dall’effetto copertina patinata.
Si alternano, infatti, artisti che hanno fatto della loro ricerca lo strumento critico per comunicare l’attuale: ne è un esempio lampante la serie ironica di Simon Fujiwara, in cui i ritratti di personaggi famosi che costellano i social in questi ultimi anni, formano un punto interrogativo tragicomico. A riempire quasi interamente la parete di una delle stanze del team, invece, sono i 20 ritratti della serie How Do You Kill the Chemist di Marinella Senatore, tratta dal corto del 2009 che riproduce gli eventi reali accaduti negli anni ’50 attorno al caso del chimico Adrian Ghole, assassinato dal suo assistente. Quest’ultimo, dopo aver rubato a Ghole la formula chimica per un nuovo pneumatico che lo avrebbe reso ricco, certo non poteva sapere che sull’Hudson Bridge una folla stava aspettando il milionesimo automobilista per consegnargli un milione di dollari. E così, preso in flagrante, con il cadavere di Ghole nel portabagagli, si gettò nel fiume.
Speculare per dimensioni, ma non solo, è Tarocchi di Adelita Husni Bey, anche quest’opera tratta dal video esposto, insieme alle opere di Cuoghi e Calò, al padiglione Italia della Biennale di Venezia nel 2017. Nel video è inquadrato un gruppo di ragazzi che leggono i tarocchi, gli stessi che si vedono in mostra, disegnati dall’artista dopo aver scoperto le ricerche di Federico Campagna, filosofo italiano di base a Londra. Una ricerca, la sua, fortemente legata a temi sociali che traggono ispirazione da fatti reali, come la protesta contro la Dakota Access Pipeline, una società che voleva costruire un oleodotto in terra di nativi americani e da cui nasce, probabilmente, la carta The Colony.
Passando per il corridoio, si incontra l’opera simbolo dell’esposizione, Untitled di Francesco Joao che sintetizza perfettamente, nella sua anima concettuale, un tempo vissuto come se non si dovesse mai esaurire.
Altra connessione interessante la si trova nella bella sala riunioni, allestita con Stacks e Statement di Peter Fend, due opere facenti parte di un pacco misterioso contenente materiale di studio dell’artista statunitense. Le due opere sono collegate alla copertina della rivista Economist del 2017, relativa alla risoluzione del conflitto israelo-palestinese e rivelano la ricerca e visione transdisciplinare – oggi purtroppo diremmo ottimista – di Fend, per un nuovo destino tra le nazioni.
Infine in quella che è la stanza del direttore, proprio alle spalle della scrivania, TEDxVaduz Atmospheres: offshore World (Herregraven) di Simon Denny, opera nata per l’evento dell’organizzazione non profit TED – Tecnology, Entertainment and Design fondata dall’architetto e graphic designer Richard Saul Wurman. L’opera di Denny si presenta come un’installazione scultorea che mette in vetrina informazioni su quella che è la cultura tecnologica, familiare a TEDx, e su come inevitabilmente si incrocia, anche in maniera critica, con la cultura globalizzata della società contemporanea.
In questo modo, «Lo spazio della banca – dice Agovino – non ha solo più un compito economico, ma diventa quasi un’entità relazionale, che accoglie contenuti interpretativi sul mondo e per farlo esce dalla propria posizione di comfort, riscoprendo prospettive inedite e inaspettate sulla sua possibile funzione sociale».
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