La Spiral Jetty di Robert Smithson compie 50 anni nel 2020. In fondo, è un periodo in cui siamo travolti dall’esuberanza dei cinquecentenari dei grandi Maestri, che ci mettono in dialogo con la misura dei secoli. E così 50 anni non sembrano poi così tanti. Ma quella spirale di ghiaia, terra, fango, acqua e cristalli di sale era lì da molto prima del 1970. In effetti, era lì da sempre. Era nel movimento armonico e preistorico del Great Salt Lake dello Utah, sulle cui sponde, ghiaia, terra, fango, acqua e cristalli di sale hanno continuato a disegnare la traccia del loro passaggio nel corso di lentissime ere geologiche.
Insomma, tutto era già lì, anche senza mostrarsi apertamente. Ed è in questo disvelamento che risiede la grande poesia della Spiral Jetty di Robert Smithson. Oltre che nella potenza dei bulldozer e delle ruspe, necessaria per spostare 6500 tonnellate di materiale e disegnare, con la durezza dei denti d’acciaio e la salda presa dei cingoli sulla superficie friabile e umida, una spirale di 457 metri.
Che poi, per l’artista americano era importante anche il modo in cui si vedevano certe cose. E fu proprio nel tentativo – prometeico, icaresco e via con il romanticismo mitologico – di vedere il mondo da più punti di vista, che Robert Smithson morì tragicamente. Fu un incidente aereo, il 20 luglio 1973, a far inscrivere il suo nome nella leggenda della storia dell’arte. Morì mentre ispezionava dall’alto – come aveva fatto anche per la Spiral Jetty e per altre sue opere – il sito per predisporre la Amarillo Ramp, in Texas. Ancora un luogo desertico, isolato, biologicamente ostile all’essere umano ma, nondimeno, ricchissimo di vita, movimenti, relazioni, colori. Una sfida antropica.
E noi, oggi, cosa possiamo dire di questa gara con ciò che abbiamo altezzosamente riconosciuto come “natura”? La Spiral Jetty si può attraversare passando dalla terra al mare, guadando le zone secche, facendo attenzione a non scivolare sulle pietre lisce. E poi osservare dall’alto, per una visione di insieme, di paesaggio, magari con un elicottero.
Da qualche anno anche su Google Maps. La vediamo grazie alle immagini scattate da un satellite in orbita. Oltre allo scroll del mouse per giocare con lo zoom, possiamo trascinare l’omino arancione e atterrare, provando l’emozione di un allunaggio da scrivania (qui il nostro viaggio intorno al mondo della Land Art, su Google Maps). Foto in alta definizione, per girare a 360° in questa atmosfera di silenzio e distensione, con l’area parcheggio alle nostre spalle e, ancora oltre, le catene montuose erose da un tempo che proviamo a misurare ma comunque sfugge. Per esempio, nel 1972, l’opera scomparve momentaneamente, a causa dell’innalzamento del livello del lago. Tutto da rifare.
Per celebrare i primi 50 anni di Spiral Jetty – che per rimanere in questa esatta forma necessita di cure assidue – la DIA Art Foundation di New York organizzerà una serie di eventi speciali. Nel 1999, infatti, Nancy Holt, artista e moglie di Smithson, decise di donare l’opera alla potente Fondazione istituita nel 1974 e il cui scopo è sostenere progetti difficilmente realizzabili, quelli più ambiziosi. Parole dello statuto e non è un caso che il suo campo di specializzazione sia proprio la Land Art, un movimento che ha contribuito a mettere in crisi i concetti di spazio espositivo, conservazione e fruizione. Anche di tempo, appunto. La DIA, infatti, è responsabile, tra le altre, di un’opera a dir poco magnetica: il Lightning Field di Walter De Maria, a Catron County, New Mexico.
E a proposito di spirali e sequenze di crescita matematiche e geometriche, sempre la DIA, nel 2020, presenterà una grande mostra dedicata a Mario Merz, la prima ampia retrospettiva negli Stati Uniti. Per il programma completo – che anche quest’anno propone mostre di grande spessore – potete dare un’occhiata qui.
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