La stagione del corpo di Tufano Studio, con Tsamani Tovar Niño e Yara Piras

di - 1 Luglio 2022

Tsamani Tovar Niño e Yara Piras, gli artisti presentati da Associazione Zona Blu negli spazi di Tufano Studio la scorsa primavera, ci hanno esortato a uscire dagli schemi classici del pensiero, per riscoprire noi stessi e gli altri con l’aspirazione di poter giungere a nuove consapevolezze, esplorando il nostro personale metro di misura. Ecco il nostro report dai due progetti.

Tsamani Tovar Niño, 1989, l’equinozio della presenza

Lo scorso 21 marzo, l’artista Tsamani Tovar Niño ha presentato la propria installazione performativa, 1989, l’equinozio della presenza, con la curatela di Lucrezia Arrigoni e Andrea Lagattolla.

Il giorno di opening ha visto una performance di Tovar Niño, presentata in collaborazione con il collettivo Tempio Daylight. Attorno a un’alta lastra di paraffina bianca, posta al centro della sala, le due performer si avvicinavano e sfioravano e, grazie a un gioco di luci che ne proiettava l’ombra sulla superficie semitrasparente, è iniziato un potente dialogo gestuale, in cui il pannello invitava a essere oltrepassato e contemporaneamente domandava di essere trattato con cura, data l’evidente fragilità. Nel tentativo di scrutarsi, conoscersi, avvicinarsi, scontrarsi e infine accogliersi e possedersi, le due figure si sono interfacciate con l’immagine riflessa, con il proprio specchio interiore, fino a distruggere quel confine per congiungersi l’una con l’altra, finalmente senza filtri. L’emblema dell’unione con il proprio io, nella rassegnazione dell’accettare che chi siamo e come appaiamo sono i due aspetti che coesistono all’interno di ognuno di noi.

Tsamani Tovar Niño, Spiritual-portrait in a broken wax mirror, 2022, paraffina. Collettivo Tempio Daylight, performance, 21 marzo 2022. Tufano studio, Milano. Courtesy degli artisti

Con simili premesse si presentano le opere presenti in mostra: una serie di lastre di paraffina nera riportano alcune scritte, create con gli stoppini bianchi delle candele, che emergono come sentenze dal loro sfondo. Tali schermi appaiono come specchi offuscati, in cui ci si rivede ma non ci si riconosce. Al contempo, le parole sporgenti richiamano i temi dell’autocoscienza, dell’introspezione e della psiche umana. Passi e citazioni presi in prestito da testi quali il III libro delle Metamorfosi di Ovidio, in cui viene narrata proprio la storia di colui che, guardandosi riflesso, e piacendosi, si è voluto unire alla propria immagine al punto da morire annegato: Narciso.

Tsamani Tovar Niño, Giriamo in tondo alla notte e siamo consumati dal fuoco, 2022, paraffina e stoppini. Tufano studio, Milano. Courtesy dell’artista

Tutti i lavori conducono a percepire una condizione che Tovar Niño definisce di pseudo-realtà. Il termine deriva da una riflessione di Guy Debord del 1978, anno in cui il regista presenta il film In girum imus nocte et consumimur igni, uno splendido palindromo traducibile in “giriamo in tondo nella notte e siamo consumati dal fuoco”, che suggerisce la condizione dello spettatore: imprigionato nel ciclo infinito della rappresentazione.

Tsamani Tovar Niño, Tempio Daylight, performance, 21 marzo 2022. Tufano studio, Milano. Courtesy degli artisti

È con questo stesso film che egli abbandona il mondo delle immagini, nel quale, secondo la sua visione, tutta la rappresentazione viene prodotta solo per divenire merce ed essere spettacolarizzata. L’unica via di fuga è riuscire a contrastare la sconfitta, pertanto l’artista propone oggi una contro-azione: accendere quel palindromo e far bruciare la condanna dello spettatore, un gesto di liberazione che può essere tradotto con la contro-frase: girare in tondo nella notte ed essere consumati nel fuoco. Non più una condanna, ma l’accettazione della condizione imprescindibile dello spettatore: l’essere risucchiati in un vortice di immagini in cui solo cibarsi di queste è concesso.

Yara Piras, FRAME – Misurare per immagine,

Il lavoro della seconda artista, Yara Piras, presente a inizio maggio nella stessa sede di via Monfalcone, compie invece un passo successivo rispetto a un’analisi del proprio io, mirando a scoprire le diverse modalità di analisi adottabili per conoscersi e per conoscere il contesto, o i contesti, con cui ci interfacciamo. Questo il quesito che l’artista si pone e a cui cerca di rispondere con FRAME – Misurare per immagine, curata da Lucrezia Arrigoni.

Yara Piras, FRAME – Misurare per immagine, Tufano Studio, Milano, 2022, installation view. Courtesy dell’artista

Per realizzare la mostra, Piras ha inventato una propria unità di misura: i frame. Tre frame di una pellicola cinematografica super 8 corrispondo a un centimetro. Secondo queste nuove regole l’artista ha poi rilevato tutto lo spazio espositivo lasciando traccia delle sue pedisseque misurazioni.

Non è tuttavia solo l’ambiente esterno ciò che l’artista vuole indagare con la sua nuova unità di misura. Nella sala sono infatti presenti due strutture scultoree, realizzate in ferro appositamente per la personale, che reggono due proiettori e altrettanti schermi in cui scorrono due video. Se il primo mostra l’artista compiere l’azione di misurazione dello spazio con la pellicola cinematografica per poi, infine, applicare sulle pareti la testimonianza del suo studio; il secondo svela un momento performativo in cui Piras è occupata in un meticoloso atto di misurazione del proprio corpo, utilizzando sempre il medesimo oggetto come grandezza prediletta. La pellicola cinematografica diviene quindi il dispositivo che permette alla protagonista di conoscersi e studiarsi, ma anche di esplorare lo spazio circostante.

Yara Piras, FRAME – Misurare per immagine, Tufano Studio, Milano, 2022, installation view. Courtesy dell’artista

A completare il percorso, e a rendere sempre più tangibile la fruizione della nuova unità di misura, è la presenza di un sarto che, in occasione dell’inaugurazione, ha condotto all’interno di Tufano Studio un’azione performativa che permetteva ai visitatori di farsi rilevare parti del corpo secondo la grandezza inventata dell’artista, e di ricevere un’opera unica, composta da un foglio riportante le proprie misurazioni. Come ha dichiarato la curatrice Arrigoni, l’artista suggerisce, con questo intervento, la possibilità di leggere lo spazio e il corpo in modalità inedite, con la prospettiva di creare sempre nuove narrazioni. Un approccio non lontano da artisti ormai storicizzati, quali Giovanni Anselmo, Giuseppe Penone o Rosa Barba.

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