La celebre installazione Seven Magic Mountains dell’artista svizzero di origine italiana e di fama internazionale Ugo Rondinone (Brunnen, 1963), subirà un secondo intervento di manutenzione e restauro pittorico.  L’opera, dal valore di 3,5 milioni di dollari, è una delle più grandi installazioni artistiche degli Stati Uniti. L’installazione è stata ultimata nel 2016 con la collaborazione di alcuni giovani land artists autoctoni, commissionata e co-prodotta dalla no-profit Art Production Fund di New York e dal Nevada Museum of Art di Reno.
Situato a breve distanza dal leggendario lago Jean Dry del deserto del Nevada, il lavoro site-specific costeggia la Interstate 15 e si erge su un terreno gestito a livello federale nel bel mezzo della Ivanpah Valley. «Per trovare il punto giusto per l’installazione, abbiamo guidato lungo l’Interstate 15. A circa 30 minuti da Las Vegas c’è solo il deserto silenzioso in cui vi è unicamente la presenza del sole», racconta Ugo Rondinone. «Ad un certo punto, mentre stavamo tornando a Las Vegas, ho visto un lungo tratto di terra. Ho pensato: Oh, ecco! Potrei realizzare le sculture lì».
Così si è originata l’idea di tale creazione monumentale, che comprende in totale sette sculture scomposte, caratterizzate da tumuli accatastati verticalmente secondo gruppi variabili dai tre ai sei massi locali di origine calcarea. Alte circa 30 piedi e dipinte con varie tonalità fluorescenti, le forme impilate rimandano ai fenomeni primordiali delle formazioni sedimentarie hoodoo, al processo di modellamento che svolgono gli agenti atmosferici e alla struttura totemica originaria del popolo dei nativi americani Ojibway.
«Seven Magic Mountains suscita continuità e solidarietà tra uomo e natura, artificiale e naturale, allora e oggi», spiega l’artista, elencando le costanti che caratterizzano i suoi lavori da più di due decenni. In un dualismo indissolubile di geologia e astrazione, stabilità e bilico apparente, romanticismo ed esistenzialismo, le costruzioni vengono riformulate in arte per mezzo di un linguaggio minimale e di un bilanciamento meditativo. Esse punteggiano, attraverso bagliori anomali, il tentacolare deserto del Mojave con esplosioni poetiche dalle forme sfaccettate e dai colori iridescenti.
Originariamente realizzati per un tempo di esposizione in loco di due anni, i colossi avrebbero dovuto accompagnare il viaggio di chi raggiunge da sud l’intersezione tra Los Angeles Boulevard e St. Rose Parkway a Henderson e sarebbero dovuti essere trasferiti successivamente presso il The Park, un nuovo quartiere della città .
Quando l’installazione immersiva di Rondinone è stata inaugurata per la prima volta, l’11 maggio del 2016, la Ivanpah Valley non aveva ancora mai visto niente di simile. Lo conferma David Walker, il direttore del Nevada Museum of Art che l’ha commissionata: «Ma quando le conversazioni sulla sua rimozione iniziarono a ribollire, divenne evidente che Las Vegas e il mondo se ne erano innamorati».
Da quella data, più di due milioni di persone, tra turisti e abitanti del territorio, hanno fruito l’opera ogni anno, rendendola una tra le più visitate della storia della Land Art. A causa dell’incredibile successo, l’artista ha espresso il forte desiderio di mantenere l’opera nel suo attuale sito oltre il biennio stabilito e nel 2018 il BLM – Bureau of Land Management ha rilasciato il permesso di estendere per altri tre anni l’esposizione, consentendo all’installazione di Rondinone di rimanere in vista fino al 2021. Gli organizzatori, oggi, stanno lavorando a un ulteriore piano di estensione, richiedendo un nuovo permesso quinquennale, che dovrà essere approvato dal BLM e dalla contea di Clark.
«Il lavoro richiede molta attenzione e denaro, ma siamo orgogliosi che dopo cinque anni continuiamo a rendere l’opera d’arte gratuita per il pubblico e siamo felici di vedere quanta gioia porti alla nostra regione. Non ci possiamo proiettare più in là in questo momento, ma l’idea è che tutti noi vogliamo continuare a vedere il lavoro dov’è finché possiamo tenerlo lì», afferma lo stesso Walker.
Il tipo di clima arido del Nevada, da un lato favorisce la sopravvivenza dell’opera d’arte a condizioni difficili alla quale è stata sottoposta sin dalla sua inaugurazione, ma dall’altro, poiché dipinta con pigmenti ecocompatibili che tendono a dissolversi nel tempo, potrebbe non resistere indenne negli anni. Oggi i colori risultano essere sbiaditi a causa dell’incessante esposizione al sole, della micro-sabbiatura dei venti costanti e delle temperature estive della regione che spesso superano i 37 gradi. Per questo, infatti, l’opera è stata restaurata l’ultima volta nel 2019, grazie in parte a una sovvenzione di 150mila dollari dalla MGM Resorts International e da donazioni private, ma la conservazione, per essere duratura, necessita di una ristrutturazione aggiuntiva di 100mila dollari circa.
I lavori saranno seguiti da un imprenditore locale e dallo studio di Rondinone, che agirà , direttamente con i restauratori, sulla pulizia delle singole componenti dell’opera tramite grandi serbatoi d’acqua, proseguendo poi con l’adescamento e, infine, con la riverniciatura dei totem.
Viene lasciata come alternativa possibile quella di una vernice automobilistica che sembrerebbe però essere altamente tossica. «Vogliamo trovare il giusto equilibrio tra il mantenimento dell’aspetto vivace del lavoro e il non fare qualcosa che possa danneggiare l’ambiente», afferma il direttore del museo di Reno che detiene anche il compito di preservare l’opera dagli eventuali danni vandalici minori, come quelli rivolti alla segnaletica, di supervisionare il parcheggio adiacente e assicurarsi che i visitatori possano vedere proprio da lì, anche durante questo periodo di restauro e transizione, l’opera «di soglie e incroci, di isolamento e di raccolta» che è la Seven Magic Mountains.
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