Da oggi, 25 maggio, fino al 14 giugno l’Istituto Italiano di Cultura di Stoccolma con il progetto “Language is a virus”, voluto da Maria Sica, Direttrice dell’Istituoto Italiano di Cultura della capitale svedese e curato da Adriana Rispoli, porta nelle strade di Stoccolma dei manifesti realizzati da Francesca Grilli, Loredana Longo, Marzia Migliora, Rosy Rox e Marinella Senatore.
«Servendosi della tecnica dei manifesti pubblicitari, “Language is a Virus” usa come spazio espositivo le strade di Stoccolma, dove, sebbene non ci siano state restrizioni alla libera circolazione, sono stati chiusi al pubblico i luoghi della cultura quali musei, gallerie, teatri. In questa fase di forzato confinamento, il tessuto urbano si offre come spazio di comunicazione a cinque artiste italiane»: «le kulturtavlorna, ossia i cartelloni pubblicitari della capitale svedese, si trasformano dunque in veri e propri display espositivi, da cui le artiste lanciano messaggi legati alla loro personale ricerca e condizione attuale», ha spiegato l’Istituto.
«Il nostro obiettivo è comunicare apertamente con gli abitanti di Stoccolma, ma anche raggiungere un pubblico nuovo e rinnovare un dialogo tra arte e spazio urbano. Soprattutto, sembra importante dimostrare che in questo momento l’arte non è un mezzo espressivo elitario. Forse, questa crisi può mostrarci nuovi schemi per reinventare le dinamiche tradizionali delle relazioni tra arte e pubblico. Troviamo questo esercizio molto stimolante, poiché si relaziona con una città in cui l’arte nutre gli spazi pubblici da molto tempo», ha affermato Maria Sica, Direttrice dell’Istituto Italiano di Cultura.
Il titolo del progetto «riprende il titolo dell’omonima canzone di Laurie Anderson, che in questo brano-performance del 1986 fa proprie le parole di William Burroughs: “il virus più pericoloso era il linguaggio”», ha ricordato l’Istituto.
MS: «L’Istituto Italiano di Cultura di Stoccolma fa parte della rete degli uffici culturali del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, promuove e valorizza la cultura italiana in Svezia e favorisce il dialogo culturale tra i due Paesi. Sosteniamo il contemporaneo italiano nelle sue mille accezioni, perchè questo significa creare patrimonio: promuovere l’evoluzione della nostra identità culturale e consentire l’accrescimento di relazioni, nonostante questo non sia facile, perchè il contemporaneo è una sorta di cronaca dal futuro e si esprime attraverso linguaggi che si rinnovano incessantemente».
MS: «”Language is a virus” è il progetto in corso d’opera cui seguirà in settembre una nuova puntata di “Shoegaze“, una iniziativa in collaborazione con Konstfack, l’Accademia d’arte di Stoccolma, che vede giovani artisti italiani confrontarsi con gli spazi dell’edificio progettato e arredato da Gio Ponti dove ha sede l’Istituto Italiano di Cultura. A novembre, invece, abbiamo in programma la terza parte di un programma di installazioni pensate per la straordinaria struttura che ci ospita, una delle architetture all’estero di Gio Ponti che dalla sua inaugurazione nel 1958 non ha mai cambiato la sua destinazione d’uso. Nel 2018 Bianco Valente vi hanno ‘adagiato’ una trama di luce realizzando Relational, che ha illuminato per circa quattro mesi il lungo inverno svedese, mentre nel 2019 Mariangela Levita ha dato vita a Tutto. Leonardo trasformando le oltre 100 finestre/diaframma della facciata dell’edificio in schermi di colore, unendo in una sintesi visiva inedita i precetti leonardeschi alle note sull’uso del colore espresse da Ponti. Per il 2020 stiamo lavorando alla terza parte di questa trilogia, ma taccio per il momento il nome dell’artista che realizzerà l’installazione».
MS: «Le istituzioni culturali svedesi hanno chiuso i luoghi della cultura: teatri, musei, gallerie e si apprestano adesso ad una progressiva riapertura. Anche qui c’è stato in questo periodo un florilegio di attività condotte da remoto, ma si avverte una gran voglia di riappropriazione di spazi e regole espressive che, a mio avviso, non potranno in ogni caso escludere del tutto quelle modalità nuove che anche noi abbiamo sperimentato, ma che qui erano comunque già più familiari».
AR: «In questo lungo momento di isolamento mi sono spesso confrontata con la Direttrice dell’Istituto di Stoccolma, con la quale ho realizzato in passato altri progetti. È nata sempre più forte l’esigenza di esprimere la vitalità degli artisti italiani, che all’improvviso si sono trovati chiusi in un confine non solo geografico ma anche domestico.
L’occasione di un passaggio al virtuale – che ho subito sperimentato durate il lockdown in Italia con il progetto #emergencyexit_artinquarantine solo su Instagram – è arrivata con la richiesta da parte della Direttrice di utilizzare il manifesto urbano come supporto artistico. È questa una dinamica alla quale sono particolarmente affezionata, perché riflette intrinsecamente una volontà pubblica e sociale dell’arte e che infatti ho utilizzato in diverse occasioni curatoriali, dal Madre di Napoli al Porto Fluviale di Roma».
AR: «La mostra di Stoccolma è nata proprio durante il primo mese di isolamento dell’Italia e ne riflette totalmente i sentimenti, miei, delle artiste e anche della promotrice, Maria Sica. È una mostra sui generis, perché utilizza il manifesto pubblicitario e le strade cittadine della capitale svedese come luogo espositivo (è risaputo che la Svezia non hai attivato un vero lockdown), facendone così un’esposizione reale, fisica e fruibile dal pubblico. Ho deciso di invitare cinque tra le più interessanti artiste italiane per dare voce a una fascia della creatività che in questo momento di isolamento è, secondo me, ancora più colpita dalla quantità di responsabilità che ricadono sulla donna in ambito domestico e familiare. Inoltre, nelle loro diversità, le artiste invitate spesso utilizzano il “linguaggio” come medium artistico. Questo è un aspetto dell’arte che mi interessa molto. Non a caso, il linguaggio è il primo e più importante strumento di libertà!».
MS: «La scelta dei luoghi di affissione pubblica è stata dettata dall’esigenza e dal desiderio intenso di voler comunicare in maniera “diretta”, per così dire, con gli abitanti della città e testimoniare la vitalitaà e la presenza dell’arte contemporanea italiana anche in un momento di così grande, oggettiva difficoltà per il Paese. L’emergenza dovuta al Covid ha imposto a noi operatori culturali un repentino cambio di pelle, tenendo ferma la necessità degli obiettivi da perseguire. Se non è piu’ stato possibile, in occasione di una mostra, accogliere il pubblico nei nostri spazi o in quello di musei e gallerie cittadine, allora, aldilà della comunicazione via social, abbiamo pensato di uscire e far sì che l’arte potesse continuare a essere presente nella vita delle persone, a proporsi per un confronto e tenere aperto il dialogo con il presente su un tema di assoluta contingenza».
AR: «Sovvertire il canone classico del binomio pubblico-privato è un imperativo del tempo sospeso che stiamo vivendo e che sfocerà certamente anche in un cambiamento delle dinamiche tradizionali del rapporto arte-pubblico. Si tratta di una relazione imprescindibile, in quanto l’arte ha senso di esistere solo se condivisa. L’occupazione degli spazi urbani d’affissione in “Language is a virus”, dunque, non vuole essere soltanto una strategia di appropriazione dello spazio pubblico per oltrepassare le pareti del white cube e degli spazi elitari dell’arte, ma essa è anche una condito sine qua non per mantenere aperta la necessaria relazione che l’arte ha con lo spettatore in questo particolare momento».
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