«È meraviglioso vedere come nella vita tutto è connesso», dichiarava Christo nel 2019. Più di sessant’anni fa in una lettera inedita del marzo 1957, l’artista scrive da Vienna al fratello Anani: «Io guardo all’Italia e a Parigi. Dopo aver rimesso in sesto le mie finanze ci andrò». L’impacchettamento dell’Arc de Triomphe è l’ultimo atto di questo sogno di giovinezza. È vero che Christo è deceduto nel maggio 2020 ma aveva provveduto con grande cura al lavoro preparatorio, insieme all’équipe formata da Philippe Belaval, Soprintendente ai Monumenti, Laure Martin-Poulet, Presidente della manifestazione parigina, accanto a Vladimir Yavachev, nipote dell’artista, Lorenza Giovanelli, responsabile dello studio di New York, allorché il Presidente della Repubblica Emmanuel Macron aveva dato il suo pieno accordo. Christo era entusiasta per la realizzazione di questo progetto. Lo aveva dichiarato in una conversazione dai toni anche politici.
Nel 1958, 18 mesi dopo aver lasciato il regime dittatoriale della Bulgaria comunista, nascosto in un treno merci, Christo si trasferisce nella Ville Lumière. Abita all’ultimo piano, in una stanza che rimarrà il suo atelier fino al 1964, anno del suo trasferimento negli Stati Uniti. Dalla finestrella vede l’Arc de Triomphe.
Diventata Arco di Trionfo, la Porta Triumphalis è un’invenzione dell’antichità romana, forse etrusca. Non è stata importata dalla Grecia. Diffusa fin dal Cinquecento attraverso i Trattati di Serlio, Palladio e altri architetti, si inserisce nel tessuto dell’Urbs sotto diverse forme: dalle Mura agli Archi di Costantino e Settimio Severo, etc. Alcune Porte hanno una tipologia vicina a quella di un Arco di Trionfo, come Porta Maggiore, Porta Pia, restaurata da Michelangelo, Porta San Paolo accanto alla Piramide, un’altra forma prediletta da Christo.
All’origine l’Arc de Triomphe è una Porta edificata per glorificare un capo militare vittorioso. Per questo Napoleone incarica Chalgrin di progettare quello parigino. Dumézil spiega che nell’Antichità ha anche un ruolo purificatore. Nei secoli la sua inutilità lo porta a cambiare funzioni. Corrisponde a diversi usi e usanze che hanno subito un’evoluzione nel corso della storia fino a connotare gli spazi urbani in una pluralità di zone geografiche. Con una carica simbolica forte tuttavia, visto la sua identificazione originaria.
In un recente studio riguardo l’Empaquetage di Porta Pinciana (1974) a Roma, pubblicato in una rivista francese, Transverse, ho voluto attirare l’attenzione su come l’arte italiana, non solo antica, abbia appassionato Christo. Al punto da considerare che con l’impacchettamento del Muro romano l’artista rendeva omaggio con eleganza e sottigliezza alla storia architettonica e artistica italiana. E questo trova conferma anche nelle stesse parole della coppia. In una lettera inedita, Christo e Jeanne-Claude esortano a inserire nel comunicato stampa oltre alla «Localizzazione esatta, la tecnica, le dimensioni», «Un riassunto della Storia di Porta Pinciana, quando è stata costruita, da chi, quando è stata restaurata…I romani lo sanno già ma gli stranieri non conoscono tutti questi dettagli».
Dal 1961 Christo coglie spesso l’opportunità di venire in Italia. Nel 1963 con tre mostre monografiche. Nei cartoncini di invito alla Galleria Apollinaire di Milano e alla Galleria Il Leone di Venezia appare, sembra per la prima volta, un fotomontaggio con i Champs-Elysées e le sembianze dell’ impacchettamento dell’Arc di Triomphe. La stessa fotografia appare su una parete della mostra romana alla Galleria La Salita.
A Roma, in un primo tempo l’artista bulgaro si trova di fronte a diversi insuccessi. Negli anni 1967-68 Christo si impegna nella preparazione di una mostra monografica commissionata dalla GNAM ma poi deprogrammata, con il progetto di impacchettare l’edificio. Dello stesso periodo rimangono i disegni di Ponte Sant’Angelo (1967). Progetto giustamente considerato da Laure Martin-Poulet come il precedente autorevole a quello realizzato a Parigi nel 1985, l’Empaquetage du Pont-Neuf. Realizzerà anche l’empaquetage di una statua di Venere nella Villa Borghese. Nel frattempo era intervenuto in altri spazi pubblici italiani, a Spoleto (1968) e a Milano (1970).
È nell’ambito di “Contemporanea”, la ben nota mostra organizzata da Graziella Lonardi Bontempo e Achille Bonito Oliva che coinvolgeva più di un centinaio di protagonisti, che Christo porterà a termine il progetto di impacchettare un monumento architettonico urbano, Porta Pinciana e un pezzo di Muro antico. Da una Porta a un Arco, possiamo considerare The Roman Wrapped Wall come il precedente più vicino a quello dell’Arco di Trionfo parigino per quanto riguarda la tipologia. Massimo Piersanti fotografa The wrapped Roman Wall dai tetti a terrazza dell’ultimo piano degli alberghi adiacenti. Sembra probabile che a partire da questa esperienza, Christo abbia preso l’abitudine di fare fotografare le sue installazioni dall’alto.
Diversi sono i riferimenti possibili fra l’opera di Christo e l’arte italiana. Nella fase progettuale che precede l’intervento a Porta Pinciana Christo esegue per il catalogo un disegno, unico nel suo stile, che evoca quelli piranesiani. Non è casuale. Come Piranesi, disegnatore di archi di trionfo, ponti (Ponte Sant Angelo), piramidi, mura, Christo realizza utopie nel tessuto urbano, tanto più che sono volutamente e necessariamente effimere. Lo attestano corde e nodi caratteristici che nelle stampe di Piranesi come nel disegno di Christo sopracitato attraversano la composizione.
Il tessuto attraverso le arti: disegno, pittura, scultura, empaquetage
«Durante le mie conferenze mi riferisco sempre alla tradizione antica del tessuto e al suo uso nell’arte» (2019). Nella pittura come nella scultura esiste una vera e propria enciclopedia della rappresentazione dei tessuti: dai vestiti ai tendaggi, ai fondali. Non è difficile iscrivere gli empaquetages di Christo in una vasta storia iconologica. Nel rinnovare l’ iconografia legata alla figurazione dei tessuti, Christo unisce le tre arti per costruire un nuova espressione artistica attorno al monumento.
Ci sono usanze che attraversano le arti. Plinio racconta che nell’antichità si proteggeva un dipinto con una tenda. Christo stesso dichara di avere adoperato questa tecnica con le sue sculture. Nella sua formazione aveva acquisito tutto il bagaglio tradizionale, a cominciare dal disegno che praticava ossessivamente fin dall’infanzia. Egli racconta «in Bulgaria nelle accademie l’insegnamento, era quello delle accademie dell’Ottocento. Per diventare pittore, architetto,scultore, decoratore, dovevamo seguire otto anni di studi classici».
Accanto alle ipotesi evocate per trovare qualche riferimento all’emergere di una nuova forma d’arte, vorrei suggerire un altro elemento che potrebbe avere contribuito alla ricerca dell’artista. Quando nel 1957 visita Venezia per la prima volta, è possibile che Christo sia entrato nella chiesa di San Vidal, vicina all’Accademia, ove un’ affascinante scultura settecentesca in marmo avvolta nel suo vestito dalla testa ai piedi attira lo sguardo. Di grandezza naturale, posta accanto all’altare, è opera di A. Gai e rappresenta l’allegoria del Pudore. Benché un velo di marmo ricopra il viso, si notano alcuni tratti, come in una serie di ritratti impacchettati (1963) nei quali Christo lascia intravedere il volto. Esprimere l’ossimoro visibile/invisibile grazie al virtuosismo tecnico è una modalità prediletta da Christo. Ricoprire la pietra di un monumento è una scommessa audace.
Magicamente la luce riflessa nelle pieghe del tessuto argentato corrisponde al gioco luce/ombra dei disegni dell’artista. «Sarà come un oggetto vivente che si animerà col vento e rifletterà la luce. Le pieghe si muoveranno, la superficie del monumento diventerà sensuale. Le persone vorranno toccare l’Arc di Trionfo», spiegava Christo.
Puo’ diventare quasi opaca la brillantezza accentuata dall’uso di un baratolo di aluminio. Si modifica secondo le nuvole, il sole, la luce naturale che avvolge l’opera. Anche loro, come il vento che crea un moto perpetuo nelle pieghe, sono invitati a fare parte dell’installazione. Come arterie i cordami rossi attraversano l’opera, tale una sottile linea disegnata, una cornice leggera che idealmente sembra contenere la tela.
Le calate dei drappeggi evocano gli interni borghesi delle case del quartiere dell’Etoile come dei primi committenti dell’artista di sessant’anni fa. Una scenografia che doveva affascinare Christo che aveva lavorato col fratello Anani in teatro. Nell’attuale installazione I colori scelti per il tessuto double-face argento-blu ricordano che al suo arrivo nella capitale francese Christo ammirava i riflessi dei tetti parigini di allora, che nella sua descrizione andavano dal blu all’argento scintillante.
Il color «blu Della Robbia», secondo l’espressione dell’artista, del lato interno non appare con evidenza all’esterno ma nell’intreccio del tessuto contribuisce a modulare leggermente l’apparenza argentea delle pieghe dei nobili panneggi che cadono dall’alto. I tendaggi sapientemente disposti all’interno della struttura rendono l’installazione accogliente, come se volessero custodire e proteggere idealmente dal saccheggio, come avvenuto nel 2018, la fiamma del soldato ignoto che, leggera e senza rumore, continua a brillare e a essere riattivata quotidianamente.
Christo e Jeanne-Claude non accettavano sponsor. Hanno sempre adottato il principio del crowfunding senza alcun contributo pubblico. Con la vendita dei disegni, progetti, acquarelli preparatori e altre opere della collezione è stata interamente finanziata la manifestazione. Christo e la sua équipe hanno deciso di devolvere ai Monumenti Nazionali tutti gli introiti ricavati dalla vendita dei prodotti derivati.
Anche un aneddoto evoca l’impacchettamento di Porta Pinciana. A Roma il sovrintendente di allora, Carlo Pietrangeli, diede la sua autorizzazione con entusisamo a patto che i nidi dei piccioni non fossero ricoperti. A Parigi, con l’artista, era stata presa la decisione di intervenire nel mese di settembre per non disturbare il periodo di nidificazione dei falchi pellegrini.
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