L’arte islamica oggi. Facciamo il punto con Sumayya Vally, curatrice della prima Islamic Arts Biennale

di - 11 Aprile 2023

Si tiene a Jeddah fino al 23 aprile, organizzata dalla Diriyah Biennale Foundation, la prima edizione della Biennale dell’Arte Islamica, che indaga il rapporto fra arte e culto. Intitolata Awwal Bait (“The First House”), la biennale, che si tiene presso il duttile Western Hajj Terminal di Jeddah, in Arabia Saudita, presenta oltre sessanta artisti affermati ed emergenti provenienti da tutto il mondo. La curatrice Sumayya Vally, sudafricana, architetta interessata alla ricerca sul territorio e l’identità, ci racconta i punti salienti della manifestazione.

Qual è lo scopo di questa prima edizione della Biennale?
La mia speranza è che questa Biennale sia un’opportunità in cui invitare artisti e pubblico a riflettere sul rituale, il sacro, il personale e l’universale, per riflettere su ciò che le arti islamiche significano e possono significare in questi ambiti, adesso e in futuro. In definitiva, ogni iterazione di questa biennale diventerà una piattaforma per contribuire a un dibattito emergente sulle arti islamiche che mi auguro possa continuare. Nella sua essenza, questa biennale intende essere un luogo per gli oggetti contemporanei dando loro un lignaggio storico, e una “casa” per gli oggetti storici presentandoli in prospettiva futura. Spero che emergano connessioni con le nostre pratiche ed esperienze vissute mentre riflettiamo sull’universalità della pratica spirituale nell’Islam e sulla diversità della nostra comunità, alla quale torniamo mentre costruiamo la nostra casa spirituale, “Awwal Bait”.

Sumayya Vally. Photo Lou Jasmine Portrait

Come hai selezionato gli artisti?
Gli artisti sono stati scelti fra quelli con una pratica radicata nei concetti di carnalità, collettività, spiritualità, e ognuno di loro credo contribuisca in modo significativo a questa rassegna dell’arte islamica. Quando identifichiamo le grandi opere d’arte come islamiche, allo stesso tempo onoriamo le tradizioni storiche mantenendole vive e le pratiche contemporanee dando loro una storia. È importante situare la pratica contemporanea nella narrazione storica perché è solo nel contesto che le cose possono sviluppare un significato di appartenenza. Le definizioni esistenti di arte islamica spesso si concentrano su stile, tradizione, geografia, modello e geometria.

Qual è, quindi, l’ambizione della Biennale?
L’ambizione della Biennale è costruire e sfidare questi criteri, espandendo il canone esistente dell’arte islamica e mettere in discussione le pratiche narrative, museali e artistiche della nostra epoca. Le opere d’arte islamiche possono avere somiglianze superficiali, ma ciò che realmente le unisce è insito nel modo in cui sono realizzate, utilizzate e comprese. Nel descrivere alcune delle opere commissionate o prestate per la Biennale, ho tentato di immaginare cosa possa essere una mostra concepita come una serie di esperienze e forme di culto. Considerare sia la dimensione materiale sia quella immateriale delle opere d’arte offre un apprezzamento della conoscenza che ereditiamo: saggezza disponibile per la nostra vita quotidiana. Nelle opere scelte, la fede risuona nella pratica degli artisti, indipendentemente dalla loro fede o dal loro passato. Abbiamo scelto artisti che esprimono una natura spirituale che deriva dalla fede, per esempio qualcosa che è meditativo, altri che lavorano con concetti legati all’oralità, e altri ancora che pongono una sorta di rituale nella loro pratica. Il criterio di base, comunque, è quello delle loro filosofie in relazione alla fede.

Quanto è forte il rapporto tra architettura e cultura islamica?
L’arte islamica permea tutti i linguaggi creativi, e la sua influenza sull’architettura è più evidente in gran parte dell’Europa e dell’Asia. Il rapporto con queste discipline può essere fatto risalire al VII secolo d.C. e presenta molti stili, con stilemi che dipendono dalle case regnanti nelle varie epoche (dai Bizantini agli Abbasidi ai Safavidi, eccetera), e ognuno ha lasciato la sua impronta sull’arte prodotta nel suo tempo. L’arte islamica è vasta, diversificata e ricca; ha permeato le vite in più modi di quanto si possa immaginare e spesso applica regole scientifiche, filosofiche e concettuali come l’astrazione geometrica, la geometria divina e appunto le proporzioni dell’architettura. L’arte islamica presta grande attenzione alla bellezza estetica e con i suoi riferimenti scientifici, filosofici, concettuali, esemplifica lo spirito dell’Islam.

Basmah Felemban, Wave Catcher, 2023. Courtesy Diriyah Biennale Foundation

C’è una partecipazione femminile alla Biennale? Quali sono le opere selezionate?Sì, abbiamo la partecipazione di diverse artiste e architette di tutto il mondo, anche dalla regione mediorientale. Fra i progetti degni di nota menzionerei The Endless Iftar di Lubna Chowdhary, un tavolo lungo 40 metri che indaga i diversi rituali del cibo e della convivialità nelle varie culture del mondo. Poi, il lavoro dell’artista e ricercatrice saudita Basmah Felemban, Wave Catcher, è un’installazione che materializza l’athan (il richiamo del muezzin alla preghiera) in una serie onde digitali, evocando il respiro che i musulmani prendono fra la recitazione di un verso e l’altro. Infine, voglio menzionare I Pray for the Rain, di Sarah Brahim, un’installazione video che esplora il nostro rapporto con l’acqua e il corpo umano per il wudu (il lavacro minore che ogni musulmano deve adempiere prima di effettuare un atto rilevante sotto il profilo sciaraitico), e guarda al corpo umano e al suo rapporto fisico con la realtà. Qui, l’affinità degli umani con l’acqua è vista come intrinsecamente legata alla nostra relazione con lo spirituale. La presentazione del video su schermi di vetro sovrapposti richiama l’attenzione su tutti gli elementi essenziali del rituale di abluzione stesso: l’intenzione, la presenza e la sabbia usata per la purificazione (tayammum) quando l’acqua è assente.

Come hai immaginata la linea curatoriale per questa prima Biennale?
Il titolo Awwal Bait (Prima Casa) si riferisce al rispetto e all’unità simbolica evocati dalla Ka’ba alla Mecca, e sottolinea l’importanza della sua posizione geografica. Allo stesso tempo, riflette sulla costruzione della ‘casa’ attraverso i rituali spirituali e culturali dell’Islam; atti che ci uniscono e celebrano la nostra diversità e ibridità culturale. In quanto luogo natio dell’Islam, il Regno dell’Arabia Saudita è il custode delle due moschee e delle aree sacre che le circondano: una casa spirituale per i musulmani di tutto il mondo che invita alla contemplazione dell’appartenenza. La Biennale vuole essere anche una riflessione sulla migrazione dei primi musulmani dall’Awwal Bait alla città di Medina. Molte migrazioni contemporanee nel nostro mondo sono sinonimo di perdita e sradicamento. Spesso, i riti sono costruzioni di appartenenza, ponti tra qui e altrove e colorano l’immaginario collettivo dei musulmani di tutto il mondo.

Quali sono i luoghi-simbolo portatori di una spiritualità forte?
Per quanto diversi, e ovunque ci troviamo, Awwal Bait, la Mecca e  Medina (la città in cui migrò il Profeta Maometto) sono presenti nelle nostre preghiere. Questi richiami condivisi manifestano l’unità nelle filosofie fondamentali dell’Islam, una consapevolezza dell’essere uniti gli uni agli altri attraverso i riti, mentre ci rivolgiamo fisicamente e metaforicamente verso la nostra patria comune. Diversi frammenti storici e archeologici ispirano, narrano e rendono visibili le varie concezioni di “casa spirituale”; dalla terra al cosmo.

https://iab2023.org/

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