08 gennaio 2025

Le immagini delle telecamere di sorveglianza diventano una nuova rappresentazione del reale: la mostra a Termoli

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La personale di Irene Fenara, tra i vincitori del 63° Premio Termoli, rende tangibili i filmati delle videocamere di sorveglianza del mondo come forma di inedita esplorazione dei luoghi. In corso al museo MACTE fino al 25 gennaio

Irene Fenara, Le Buone Ombre, 2024, Installation view al MACTE di Termoli. Foto © Gianluca Di Ioia
Irene Fenara, Le Buone Ombre, 2024, Installation view al MACTE di Termoli. Foto © Gianluca Di Ioia

Dopo aver esplorato l’onirico con Salvatore Arancio, il MACTE di Termoli offre una nuova prospettiva sul tema della sorveglianza nella personale di Irene Fenara. L’artista, vincitrice del Premio mostra del 63° Premio Termoli, espone la sua ricerca sulle immagini catturate dalle videocamere di sorveglianza in diverse parti del mondo. Un lavoro sublime, a metà tra il misterioso e il disvelato, che mostra situazioni e luoghi tra loro molto diversi. Nelle stampe, paesaggi naturali e artificiali corrono in parallelo, catturati durante ricerche quotidiane e pazienti sul web: dai palazzi in ristrutturazione agli scenari innevati, fino al mare brillante e alla nebbia impenetrabile.

Irene Fenara, Le Buone Ombre, 2024, Installation view al MACTE di Termoli. Foto © Gianluca Di Ioia
Irene Fenara, Le Buone Ombre, 2024, Installation view al MACTE di Termoli. Foto © Gianluca Di Ioia

Le buone ombre combattono l’oblio tecnologico

Nell’ottica di restituire questa ricerca minuziosa sotto una forma concreta, Irene Fenara si serve di supporti come la stampa su carta e gli schermi, esposti anche al MACTE di Termoli. Nella rotonda del museo, l’artista installa un grande ledwall, su cui si susseguono le immagini di Supervision (Panorama) (2024). Il video, dalla durata di undici minuti, mostra scene semi-sfocate prese da una videocamera a New York nel 2020, di cui non è dato sapere l’esatta posizione.

Irene Fenara, Le Buone Ombre, 2024, Installation view al MACTE di Termoli. Foto © Gianluca Di Ioia

Così come negli altri scatti della serie Supervision, non vi sono macchine in corsa né passanti frenetici. Piuttosto, si avvertono i movimenti sussurrati e lenti del tempo che scorre. In questa operazione di cattura, Fenara si muove come una vera e propria archivista. I filmati, infatti, generalmente scompaiono dopo ventiquattro ore, perdendosi nell’oblio tecnologico. Grazie alla sua scelta, l’artista salva queste buone ombre per condividerle con il pubblico. 

Irene Fenara, Supervision, 2024, stampa a getto d’inchiostro su carta baritata, 61,5×82 cm. Foto © Gianluca Di Ioia

La serie degli autoritratti: Self portrait from surveillance camera

All’interno della sua indagine, Fenara decide di irrompere in alcune delle visioni rubate alle videocamere. Nasce la serie Self portrait from surveillance camera, unica in cui compare la figura umana: quella dell’artista stessa. Per rintracciare i luoghi, in alcuni casi è sufficiente affidarsi alle didascalie offerte dalle riprese, in cui compare un sito web o il nome di una città. In altri casi è necessaria una lettura approfondita delle immagini, per scovare questo o quell’altro indizio utile per fissare il posto preciso.

Irene Fenara, Self Portrait from Surveillance Camera, 2019, stampa a getto d’inchiostro su carta baritata, 127×182 cm

Con questa modalità, Fenara entra nelle sue stesse opere, indossando sempre un cappotto nero e nell’atto di guardare la videocamera. Ed ecco comparire scorci a cui si può finalmente fissare dei riferimenti geografici: da Senigallia ad un parco a San Benedetto del Tronto, fino all’ingresso dell’Hotel Cambridge a Roma. I frame, fino ad allora anonimi e misteriosi, vengono svelati dall’artista, acquisendo una precisa posizione nel tempo e nello spazio. 

Irene Fenara, Le Buone Ombre, 2024, Installation view al MACTE di Termoli. Foto © Gianluca Di Ioia
Irene Fenara, Le Buone Ombre, 2024, Installation view al MACTE di Termoli. Foto © Gianluca Di Ioia

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