Dopo aver esplorato l’onirico con Salvatore Arancio, il MACTE di Termoli offre una nuova prospettiva sul tema della sorveglianza nella personale di Irene Fenara. L’artista, vincitrice del Premio mostra del 63° Premio Termoli, espone la sua ricerca sulle immagini catturate dalle videocamere di sorveglianza in diverse parti del mondo. Un lavoro sublime, a metà tra il misterioso e il disvelato, che mostra situazioni e luoghi tra loro molto diversi. Nelle stampe, paesaggi naturali e artificiali corrono in parallelo, catturati durante ricerche quotidiane e pazienti sul web: dai palazzi in ristrutturazione agli scenari innevati, fino al mare brillante e alla nebbia impenetrabile.
Nell’ottica di restituire questa ricerca minuziosa sotto una forma concreta, Irene Fenara si serve di supporti come la stampa su carta e gli schermi, esposti anche al MACTE di Termoli. Nella rotonda del museo, l’artista installa un grande ledwall, su cui si susseguono le immagini di Supervision (Panorama) (2024). Il video, dalla durata di undici minuti, mostra scene semi-sfocate prese da una videocamera a New York nel 2020, di cui non è dato sapere l’esatta posizione.
Così come negli altri scatti della serie Supervision, non vi sono macchine in corsa né passanti frenetici. Piuttosto, si avvertono i movimenti sussurrati e lenti del tempo che scorre. In questa operazione di cattura, Fenara si muove come una vera e propria archivista. I filmati, infatti, generalmente scompaiono dopo ventiquattro ore, perdendosi nell’oblio tecnologico. Grazie alla sua scelta, l’artista salva queste buone ombre per condividerle con il pubblico.
All’interno della sua indagine, Fenara decide di irrompere in alcune delle visioni rubate alle videocamere. Nasce la serie Self portrait from surveillance camera, unica in cui compare la figura umana: quella dell’artista stessa. Per rintracciare i luoghi, in alcuni casi è sufficiente affidarsi alle didascalie offerte dalle riprese, in cui compare un sito web o il nome di una città. In altri casi è necessaria una lettura approfondita delle immagini, per scovare questo o quell’altro indizio utile per fissare il posto preciso.
Con questa modalità, Fenara entra nelle sue stesse opere, indossando sempre un cappotto nero e nell’atto di guardare la videocamera. Ed ecco comparire scorci a cui si può finalmente fissare dei riferimenti geografici: da Senigallia ad un parco a San Benedetto del Tronto, fino all’ingresso dell’Hotel Cambridge a Roma. I frame, fino ad allora anonimi e misteriosi, vengono svelati dall’artista, acquisendo una precisa posizione nel tempo e nello spazio.
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