L’offerta culturale della Puglia si arricchisce di un nuovo, prezioso gioiello: la collezione Biscozzi-Rimbaud di Lecce. La Fondazione, atto di amore e riconoscenza verso la città di Luigi Biscozzi (Salice Salentino, 1934 – Milano, 2018), apre ufficialmente i battenti il 2 marzo. Non un’inaugurazione vera e propria, più volte procrastinata e resa di fatto impossibile dall’apri e chiudi imposto dalla situazione epidemiologica, ma una “semplice” apertura al pubblico. Sede della Fondazione è l’elegante edificio seicentesco sito in piazzetta Baglivo, in pieno centro storico, nato forse come pertinenza del vicino convento delle Alcantarine, restaurato per l’occasione dal toscano Studio Arrigoni. Tra i nomi più autorevoli nel settore della consulenza fiscale e tributaria in Italia, Biscozzi, iniziò a collezionare opere d’arte nel 1969. Un anno dopo conobbe a Parigi Dominique Rimbaud, che diventerà sua moglie e con la quale condividerà per oltre quarant’anni la passione per l’arte. Biscozzi ha assorbito l’atmosfera della Milano degli anni Sessanta: il bar Jamaica a Brera con Ugo Mulas, Lucio Fontana, Piero Manzoni, Dadamaino e molti altri intellettuali. Negli anni la collezione, che documenta una parte importante dell’arte italiana e internazionale del Novecento, si è notevolmente ampliata fino a comprendere oltre duecento opere di grande qualità tra dipinti, sculture e grafiche. La collezione, curata da Paolo Bolpagni (catalogo Silvana editoriale curato da Roberto Lacarbonara), annovera opere di Filippo de Pisis, Arturo Martini, Enrico Prampolini, Josef Albers, Alberto Magnelli, Luigi Veronesi, Fausto Melotti, Alberto Burri, Piero Dorazio, Renato Birolli, Tancredi Parmeggiani, Emilio Scanavino, Pietro Consagra, Kengiro Azuma, Dadamaino, Agostino Bonalumi, Mario Schifano ed altri. La Fondazione, oltre alla collezione, comprende uno spazio per le mostre temporanee (la prima è dedicata ad Angelo Savelli, il pittore del bianco), un’area didattica e una biblioteca specializzata aperta alla consultazione. A Dominque Rimbaud va il merito di aver proseguito il sogno del marito. L’abbiamo incontrata per farci raccontare la loro avventura.
Com’è nata in lei e suo marito la passione per il collezionismo?
La collezione, come ha scritto mio marito nel suo promemoria pubblicato in catalogo, è nata grazie al caso. Il caso ha voluto che nel 1969 bussasse alla sua porta un mercante da cui ha acquistato una grafica di Vespignani e una di Attardi. Il caso ha voluto che un anno dopo ci incontrassimo a Parigi. Il caso ha voluto che mio padre mi trascinasse nei musei aprendomi gli occhi sul mondo. Il caso ha voluto che Luigi avesse una curiosità insaziabile. Lui è sempre stato affascinato dalla bellezza di Lecce. Vederne la bellezza oggi è cosa semplice ma riconoscerla negli anni Cinquanta significava già avere un occhio propenso alla bellezza. Lui aveva appena 16 anni. Il suo occhio e la sua curiosità sono stati determinanti nella sua Lecce e anche nel periodo del suo arrivo a Milano. Qui i suoi colleghi della Bocconi frequentavano l’Autoclub, vicino all’università , lui il Bar Jamaica, più distante, all’epoca punto di ritrovo e autentico cenacolo di intellettuali.
Quali sono in ordine di tempo la prima e l’ultima opera acquisite?
Sono due. Luigi da tempo aveva il desiderio di avere in collezione un’opera di Veronesi, ma dell’anteguerra, seconda metà anni Trenta e primi Quaranta. Un’indicazione assai precisa. Trovare un’opera di Veronesi non è difficile ma sul mercato si trovano quasi tutte opere degli anni Cinquanta o successivi. Quelle precedenti invece sono rare e quasi tutte musealizzate. Purtroppo Luigi non è riuscito a trovarle in vita. Nella primavera 2019 si è finalmente presentata l’occasione di acquistare due carte molto belle e pluripubblicate, del 1936 e del 1942, proprio di quegli anni. Dopo aver ascoltato il parere di Paolo Bolpagni, curatore della collezione, ho deciso di acquistarle per esaudire il desiderio di mio marito.
Ha un ricordo particolare legato ad un’opera?
Gli acquisti, oltre ad essere opere delle fasi migliori dei rispettivi autori, sono sempre stati fatti con colpi di cuore. Ogni opera è quasi un atto d’amore. Ognuna ha una sua storia e una sua modalità di acquisizione. Per questo è difficile dire a quali opere eravamo più legati. Precisato questo, voglio però raccontare l’acquisizione dell’opera di Giorgio Griffa del 1969. Quell’opera Luigi e io l’avevamo vista molti anni fa ad Arte Fiera a Bologna. Mi piacque subito. Erano gli anni Ottanta e Luigi evidentemente non era ancora pronto a quell’acquisto. Quattro anni fa, sempre ad Arte Fiera, l’abbiamo rivista. In quel momento anche Luigi era pronto e abbiamo deciso insieme di acquistarla.
Lei e suo marito viaggiavate molto, visitando Biennali e mostre internazionali e interessandovi anche al dibattito tra realismo, figurazione, informale, astrazione. Ma quali parametri utilizzavate nella scelta delle opere da acquistare?
Il primo parametro è sicuramente quello emozionale ed empatico. Tuttavia va detto che quando l’idea di aprire la Fondazione a Lecce si è fatta più chiara abbiamo chiesto a n nostro amico gallerista di aiutarci a trovare i pezzi mancanti, pur continuando con le nostre perlustrazioni autonome. L’idea era quella di assecondare la curiosità di mio marito, cioè andare a cercare nell’arte italiana e non, quelle esperienze più europeiste. Si trattava di completare delle linee già aperte. Abbiamo acquistato diverse opere sia in fiere che in aste e abbiamo anche frequentato qualche studio, quelli di Dorazio, Azuma, Matino, Sava e Vaglieri per esempio. Tra due opere dello stesso artista e degli stessi anni, nella scelta ha sempre prevalso lo slancio emotivo, ma è ovvio che c’era un progetto a monte, un progetto che ha preso forma compiuta negli anni Novanta ma che esisteva anche prima, seppur in forma non pienamente definita.
Quando e come è nata l’idea di aprire al pubblico la vostra collezione?
Luigi e io non abbiamo avuto figli. Quindi aprire una Fondazione ci è sembrata una via naturale. Lecce, considerato l’amore che mio marito aveva per la città , è apparsa subito il luogo più idoneo. Abbiamo iniziato a parlarne concretamente alla fine degli anni Novanta. Una cosa va assolutamente sottolineata: tutto questo io e Luigi lo abbiamo fatto non tanto per i turisti, che naturalmente saranno i benvenuti, ma per i bambini. Mio marito è cresciuto bene a Lecce. Abbiamo sempre voluto che la collezione avviasse i bambini in un percorso educativo virtuoso, proprio com’è successo a Luigi.
Le opere attualmente fruibili sono una parte di quelle che compongono la collezione. Può dirci delle anticipazioni sulle opere ancora non visibili?
Le opere della collezione sono duecento. Attualmente ne sono esposte circa settanta in un allestimento pensato appositamente per le sale. In deposito ci sono altre opere di Tancredi, di Nigro, di Castellani. Tuttavia le opere esposte sono le più importanti e rappresentative. Quelle in deposito potranno essere utilizzate per mostre future. Del resto anche la prima esposizione temporanea è fortemente ancorata nell’identità della collezione. Savelli è uno degli artisti più rappresentati e per questo abbiamo deciso di dedicargli la prima personale. Va anche detto che, con Paolo Bolpagni, si è deciso di spostarsi più sul contemporaneo. Per questo le prossime mostre, più che attingere al deposito, cercheranno nel presente, sostenendo anche la produzione di opere nuove.
Quale futuro auspica per la fondazione che porta il nome suo e di suo marito?
Mi auguro che molti bambini possano venire con i loro genitori e che crescendo possano mantenere e alimentare uno sguardo già formato alla bellezza. Io vado avanti in questa avventura, sulla strada di trasformare l’utopia in sogno e il sogno in realtà .
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Semplicemente fantastico đź’ś