Paura, solitudine, abitudine, sono raccontati nelle installazioni inedite di Denis Riva presso gli spazi di Atipografia, ad Arzignano. Frammenti d’animo con i quali conviviamo da sempre, che hanno stimolato l’artista a costruire immagini che traducano il “Limbo Incerto” della situazione umana. Un uomo qualsiasi, indefinito, senza tempo e senza volto, è colui che abita, fino al 24 dicembre, gli ambienti dell’associazione culturale in provincia di Vicenza. Un uomo bloccato in un «Limbo al quadrato», che non è solo una sensazione di incertezza, in quella ci siamo già , è qualcosa che va oltre. «Ora si attraversa l’incertezza delle cose che sembravano già vivere nella melma più profonda del nostro essere. Quindi questo titolo cerca di mettere in dubbio le cose che sembrano certe ma che in realtà non conosciamo bene e che forse non comprendiamo».
Il risultato di queste sensazioni è riflesso sulla figura umana, che diventa un mostro, frutto di contaminazioni che sfidano le classificazioni del mondo naturale, un’ibridazione che si rifà al concetto di “hybris”, «Ciò che trasgredisce la separazione dei regni, che mescola […] l’animale e l’umano», Roland Barthes. Ecco che l’uomo condivide con l’animale il peso dell’esistenza, pagando a caro prezzo superbia e mancanza di rispetto nei confronti del nostro pianeta.
“Un Limbo al quadrato”, così descrivi il tuo stato interiore, come traduci questa sensazione di incertezza nelle tue opere?
«Non saprei come descriverlo a parole, proprio per questo costruisco immagini».
La tua ricerca artistica ti porta ad adottare sempre nuove tecniche che rinnovano quelle precedenti, quale tecnica trovi più efficace per tradurre i frammenti dell’animo umano che metti in scena?
«La tecnica che prediligo su tutte e che resta una costante determinante nel mio lavoro è il disegno su carta. Trovo che sia la parte del processo creativo più nobile e sublime di un artista, ma penso che lo sia per tutti gli esseri umani, il disegno resta vicino all’uomo fin dalla sua infanzia e ci accompagna in un dialogo continuo fino a morte certa».
Nella mostra appena inaugurata negli spazi di Atipografia usi la galleria come una grande tela mettendo in relazione diverse opere, quale dialogo nasce tra di loro?
«Ho cercato nei dettagli dei muri sgretolati di Atipografia e nelle sue cromie, i punti di incontro con le opere che formano l’installazione “Limbo incerto”, una serie di legni sagomati che animano la grande parete della galleria. Queste figure ibride, fluide, in attesa o in lento movimento, come se fossero disegni che da sdraiati si sono alzati in piedi, formano una specie di processione a doppio senso che ho cercato di mettere in relazione con altre due opere che abitano lo spazio in quel punto. Due libri d’artista dalle sembianze scultoree, una lunga fisarmonica di carta “Eccesso di liquidi (fuga di spiriti)” 2014/2022 e il “Gira gira libro (andare verso il fuoco)” 2017, una scatola di legno con meccanismo rotatorio che come un cinema disegnato avvolge e riavvolge continuamente una carta di dieci metri».
L’uomo al centro dei tuoi lavori è una figura complessa, che sembra vivere fuori dal mondo, un moderno Vitangelo Moscarda, colui che cerca l’autenticità spirituale dell’esistenza nei romanzi di Pirandello. Chi è l’uomo, talvolta ibridato con l’animale, che rappresenti?
«L’uomo non è nessuno, è il nulla, in alcune occasioni è ogni cosa. Mi piace rappresentarlo disperato, in assenza di tempo, in ascolto, solo o ibridato al mondo animale o vegetale. Non so esattamente chi sia, lo sto ancora studiando attraverso continue sperimentazioni quotidiane».
Il tuo sguardo si rivolge inevitabilmente anche al futuro, come affronti il tema della sostenibilità dell’opera d’arte complessa?
«Forse attraverso il mio interesse per la materia abbandonata, per lo scarto, le macerie; attraverso il riuso come pratica teorico-lavorativa, la stratificazione e la scomposizione continua».
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