Cristóbal Gracia presenta in anteprima assoluta a Milano opere diverse per dimensioni, materiali e supporti, risultato del suo lavoro presso la Bikini Art Residency. Attraverso il collettivo Biquini wax E.P.S. Gracia ha partecipato di recente alla mostra “City Prince/sses” al Palais di Tokyo di Parigi, confermandosi un giovane artista da tenere d’occhio nel panorama contemporaneo.
Lucciole nella terza natura si intitola la mostra personale di Cristóbal Gracia (Messico, 1987) che doveva aprire lo scorso lunedì 9 marzo, negli spazi di Viasaterna a Milano e che invece è visitabile dallo scorso 1 giugno al prossimo settembre.
Le opere in mostra, una serie inedita di sculture, disegni e fotografie, rivelano le suggestioni accolte dall’artista durante la ricerca svolta alla Bikini Art Residency, nel Lago di Como, su cui alleggia un forte immaginario con riferimenti all’iconologia colta e popolare. Da questo punto geografico della mappa – carico di luoghi comuni e stereotipi – l’artista prende spunto per innescare il suo processo creativo, e nel farlo, sembra smascherare quelli aspetti della realtà che di solito rimangono occulti dietro la società di consumo in cui i rapporti sociali vengo mediati dall’immagini, per dirla con Guy Debord. Su questo indirizzo indaga anche il suo precedente progetto intitolato Aquatania (2016) con riferimenti alla famosa località turistica di Acapulco in cui coesistono, antitetici, l’idealizzazione paradisiaca di un luogo come status symbol e la città come scenario di violenza nella guerra della droga.
Gracia, laureato alla Scuola Nazionale di Pittura, Scultura e Incisione di Città del Messico, (Escuela Nacional de Pintura, Escultura y Grabado “La Esmeralda”) adopera diversi mezzi espressivi in cui rimangono tracce del suo lavoro a contatto diretto con il territorio. Per la prima volta in assoluto l’artista utilizza il vetro come nella scultura Lucciola I (2020) o la seta nel caso di G.e.a. (2020), industria tradizionale lombarda che ha studiato da vicino. Gracia però non rinuncia alla singolarità della propria voce che sembra decisa a rovesciare le convenzioni più basilari dietro cui si edifica la cultura della società occidentale: bello/brutto, colto/popolare, alto/basso e che sono funzionali nello stabilire ciò che è lecito e ciò che non lo è, rivelando come dietro la concezione di gusto sussiste l’idea di classe.
Il titolo della mostra, Lucciole nella terza natura, prende ispirazione dal saggio di Georges Didi-Huberman pubblicato nel 2010: Come le lucciole. Una politica della sopravvivenza, dove l’arte diventa metafora, simbolo di resistenza. “Le ‘mie’ lucciole”, dichiara il famoso critico dell’arte durante un’intervista curata da Isabella Mattazzi poco prima dell’uscita del libro, “sono un’allegoria politica che unisce sia i sopravvissuti nel senso della survie (sopravvivere allo stato di fatto che ci viene imposto), sia quelle immagini dormienti che riaffiorano per effetto di una vera e propria survivance nel corso del tempo.”
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