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Luce sull’Iran contemporaneo: a Roma, il progetto di Maziar Mokhtari
Arte contemporanea
«Mi si è frantumata un’anfora di porcellana tra le mani, ed essa pianse per me, non rattristarti – disse – Anch’io fui come te, il più delle volte anch’io frantumavo le anfore, anche tu un giorno sarai un’anfora, e frantumerai come lei», Omar Khayyam. “…anche tu un giorno sarai un’anfora”: un messaggio politico, una riflessione sul corpo e sull’anima, su presente e passato del popolo iraniano, è la mostra dell’artista Maziar Mokhtari a cura di Giuseppe Stagnitta, visitabile fino al 31 marzo a Roma, presto lo Studio G, in via Giovanni Branca 11.
«Io fui come te, anche tu come me sarai», dice il filosofo iraniano Omar Khayamm in un retorico dialogo con un’anfora. Rimando esplicito al Vaso di Pandora, rappresenta il corpo che ospita l’anima come metafora della condizione umana: l’anfora è al centro dell’esposizione.
Lo Studio G diventa un luogo di contaminazione fra le leggende dell’antico Iran che attraversano il vaso e i tropi della letteratura iraniana con i quali, sul muro circostante, si racconta l’Iran contemporaneo. Le musiche di Arash Joofyafar compongono le righe di un racconto che parla di capelli, di “femminilità”, storie antiche e miti che riflettono con una dura e inevitabile consapevolezza le rivoluzioni in corso oggi.
Il quartiere di Testaccio, con il patrocinio del I Municipio di Roma si fa ospite del progetto, che si sviluppa in due momenti: il primo, sul tema dell’esposizione all’interno dello spazio dello Studio G; il secondo, in un’opera murale che sarà realizzata nel corso di gennaio 2023 su un palazzo del quartiere, riflessione dell’artista sull’identità del Rione. L’installazione è in continuità con la ricerca visiva di Mokhtari ispirata dai “muri” delle città e, per l’occasione, verrà realizzato un video con un codice NFT che potrà essere acquistato nel Marketplace NFT di Studio G.
Domenica 8 gennaio, invece, per “La Lettura” del “Corriere della Sera”, la copertina realizzata dall’artista, una treccia tagliata in segno di solidarietà alla lotta delle donne in Iran, ripresa delle parole del poeta mistico Hafez del XIV secolo: “Afferra i tuoi capelli e tagliali”.
Maziar Mokhtari (fra i vincitori dell’exibart prize 2020) è nato ad Isfahan, in Iran, e attualmente lavora fra l’Iran e l’Italia. La sua arte si basa sulla memoria come valore fondante dell’esistenza: «Solo attraverso la memoria è possibile intraprendere qualsiasi viaggio verso la conoscenza».
In questa mostra si intrecciano storia contemporanea e passata. Pensi che, attraverso un approccio consapevole con la memoria, ci possa essere la possibilità di imparare a creare un futuro migliore o l’uomo tenderà sempre verso la ripetizione degli errori passati?
«Ogni presente è sempre il frammento di un passato, scrive il filosofo Giorgio Agmaben, e ogni azione nuova e di valore si forma in un contesto storico e culturale proveniente da una condizione di stabilità culturale legata per forza di cose alla tradizione specifica di un territorio. Qualunque sia il rapporto tra tradizione e innovazione, il principio della formazione artistica nel contesto della tradizione non può essere negato, perché la novità ha senso solo se in contrasto con i comportamenti tramandati dal passato.
La tradizione è un modo per ricordare e per raccontare la memoria collettiva, che rappresenta il ricordo, o l’insieme dei ricordi, più o meno conosciuti, di un’esperienza vissuta o mitizzata da una collettività vivente della cui identità fa parte integrante il sentimento del passato.
La memoria è conoscenza di un passato che ci permette di vivere e interpretare il nostro presente con maggiore consapevolezza e determinazione proprio per andare oltre il cammino che ci ha portati allo status quo e quindi creare un futuro migliore».
Nel tuo percorso artistico un ruolo importante lo ha il muro, vi sono muri che dividono e separano altri che accolgono e proteggono così come la linea, spesso associata all’idea di confine, perimetro, limite. Esistono limiti positivi secondo te?
«Il muro è in assoluto la cosa migliore da vedere per chi non ha altro da vedere se non il muro. E questa non è tautologia, questa non è ripetizione. La tautologia è coprire il muro con un velo di colori poiché il muro è esso stesso un velo, il velo del dentro e del fuori, e un muro di colori è velo su velo».
Quale pensi sia il ruolo dell’artista in un momento storico come questo in cui le ingiustizie stanno venendo messe sempre più in luce?
«L’ansia fondamentalmente è una questione sociale, di conseguenza, in una società ansiosa anche gli artisti sono come il resto del popolo. Loro sono espressivi, quindi il riflesso della loro ansia, attraverso l’arte, è più chiaro per gli altri.
In una società travagliata, l’artista non può fingere che qualcosa non sia accaduto e che non c’è motivo di preoccuparsi, questo è il lavoro dei politici, l’artista non può ignorare questi fatti nella sua arte e dunque non comunicarli.
L’arte è una sorta di utopia, che si realizza nell’osservazione del presente che rinnova ripulendolo per una rinascita migliore e sana, soprattutto nella situazione odierna in cui le persone soffrono la quotidianità.
Come scrive il poeta iraniano ucciso nel 1998, Mohammad Mokhtari: “Un poeta è qualcuno che cerca intelligentemente di costruire e rinnovare il presente nonostante le condizioni caotiche, il lavoro di un poeta non è né sedere sul passato né essere geloso del futuro, vuole riempire il presente con la qualità che potrebbe avere. Il poeta non crea qualcosa di invidiabile da ciò che è assente, e non indulge in ciò che è, e prende le distanze da ciò che è stato. La poesia è l’apertura di un orizzonte, un modo di guardare, e la creazione di questo altro mondo è naturalmente finalizzata alla diversità e alla pluralità, di conseguenza, il poeta combatte con situazioni e ostacoli che limitano l’uomo e lo riducono all’uniformità”.
Ecco perché la poesia dipende sempre dalla libertà e lotta contro la censura».
I colori hanno spesso uno spazio importante nella comunicazione in particolar modo quando si tratta di comunicazione politica o ideologica. Il colore che predomina nella tua arte è il giallo, in questo caso anche il rosso ha uno spazio centrale. Che ruolo ha per te il colore?
«In politica il colore diventa la bandiera, ma nell’arte diventa la luce. La bandiera è rivolta al potere e la luce è rivolta alla consapevolezza.
Qual è il ruolo del colore per me? Lo stesso ruolo che ha avuto per tutti i pittori dal passato al presente che creano la luce attraverso il colore.
Ma perché il colore giallo nei miei lavori? Diciamo che non cerco legittimità verbale per usare questo colore. Nelle mie opere il colore è apparso per caso dall’osservazione del “muro” che mi ha messo davanti agli occhi il giallo e da quel giorno ha sempre alimentato la necessità di convivere con questo colore in tutta la mia opera».