«Stufo della ripetizione mi distrassi tentando l’opposto su una grande tela bianca. Con un solo pennello la riempii con un formicolio di figure dipinte col solo colore nero, un’esperienza già previamente avanzata con inchiostro su carta. Da allora ci ritorno molto spesso quando ne sento il bisogno o quando sorge l’occasione. Inevitabilmente, dopo un po’ mi venne in mente di vedere cosa potesse succedere aggiungendo colore a
quel tipo di composizione e ne nacque il Color Crowd».
Lucio Pozzi è artista italiano naturalizzato americano. Le due componenti continentali, quella europea e quella statunitense, esplodono in modo inequivocabile nei suoi ultimi color crowd. I fondi delle tele, tutte di medie e grandi dimensioni, vengono trattate pittoricamente in egual modo: lo comprendiamo dalle scolature di acrilico (diluito) che cadono composte senza scivolature verticali e dalle pozze acquose di colore che rimangono sulla superficie. Una pittura e una relazione col supporto che in partenza viene dunque non a trovarsi in una relazione “faccia a faccia” con l’autore, ma un iniziale rapporto
di subalternità, moto istintuale e gestuale (che non può non ricordarci Pollock). Solo in un secondo momento le tele vengono alzate e poste verticalmente alla vista del pittore. Di seguito vengono disegnate le forme e colorate, quasi in attività ludica: “e vivo nel dubbio assoluto perché non so mai come va a finire”, come rilascia detto Pozzi stesso.
Certamente ispirato e condizionato dall’espressionismo astratto (pensiamo a Sam Francis, Barnett Newman e Mark Tobey), questi color crowd rintracciano, come fossero compressi sia pittoricamente nella stesura coloristica sia spazialmente nella disposizione delle forme, un assemblaggio di conformazioni, strutture, temi, colori delle avanguardie storiche di matrice europea. Dal cubismo alla metafisica al futurismo, molto ci parla di una commistione tra correnti di continenti ed epoche diverse che non stride, ma che esalta la
propria potenzialità nel suo farsi mixaggio di storicità diverse, intenzionalità differenti: europea dell’inizio ‘900, americana della metà del ‘900.
«Molti di questi quadri sono divisi da linee separatrici alle quali le immagini dei campi che esse separano non si incontrano con precisione». Queste spazialità divise e reincollate somigliano a certe opere dello stesso Pozzi, come i photocollage degli anni ’70, in una continuità quantomeno ideale del suo lavoro nel tempo che scorre. Dunque una coerenza interna dell’artista con se stesso e con il suo lavoro. Continui riferimenti del suo percorso possono essere ritrovati negli attuali color crowd, in una sovrapposizione di storia personale e Storia: dando vita ad opere stratificate tanto nella stesura e nella scelta del colore quanto nella composizione e nella selezione degli accostamenti. Spigolature si accostano a forme morbide, colori caldi e freddi si giustappongono in spatolature di varia dimensione. Il piano superficiale si rompe continuamente per riassemblarsi senza combaciare, linea di matita in evidenza.
Pozzi usa il colore in sperimentazioni continue: ricordiamo i quadri storici monocromi di levelgroup, le texturepaintings, flowerpaintings, gli scatter paintings e appunto i crowd. Ed ancora e ancora. Il suo non è un ritorno alla pittura e alla forma, ma un non abbandonare mai il pensiero del mezzo pittorico come espressione, anche in tempi in cui l’arte concettuale eliminava il più classico dei supporti mercificati: appunto, il quadro. Un quadro che è in continuo movimento, in continuo divenire nel tempo e nel supporto.
La mostra è visitabile fino al 19 Giugno 2021.
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