Lucy+Jorge Orta hanno inaugurato la mostra “Seeking Blue Gold” durante l’affollatissima Art City Bologna 2023 la scorsa settimana, nello spazio rinascimentale dell’Oratorio dei Filippini. Nell’esposizione, promossa dalla Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna e curata da Cristina Francucci e Tatiana Basso, le installazioni erano dedicate al progetto Ortawater, che, nato negli anni Novanta, ha avuto un momento di grande riscontro nella mostra personale del 2005 alla Bevilacqua La Masa presentato durante la 51ma Biennale di Venezia. Durante la Biennale, il pubblico veniva invitato a bere l’acqua purificata proveniente dai canali veneziani. Da questo lungo processo di attenzione e segnalazione del problema della salvaguardia dell’acqua come bene comune, al lavoro di diffusione di questa problematica attraverso incontri con specialisti e gente comune, sono nate anche le installazioni poetiche che ben si inseriscono nello spazio dell’Oratorio.
Il cuore delle installazioni è costituito dal sistema di depurazione dell’acqua che si intreccia a simboli e strumenti legati alla storia della civiltà contadina e archeo-industriale che sfruttava l’acqua per ricavarne energia o semplicemente per gli usi della vita quotidiana familiare, compresa la poetica allusione al tema del viaggio attraverso imbarcazioni di piccolo formato. L’uso sensibile e attento dei materiali e degli oggetti viene collegato anche ai tessuti tecnici e a stoffe multicolori con inserti decorativi di grande effetto e finezza. I tessuti in realtà rimandano a oggetti che fanno parte della storia degli Orta e soprattutto della pratica artistica di Lucy Orta sin dall’inizio degli anni Novanta.
Lucy in effetti ha una formazione e un esordio nel fashion design, che lei ha progressivamente piegato a una riflessione analitica che esorbitava dall’ambito della moda per abbracciare problematiche sociali legate alla povertà e alla marginalità; per cui nel 1992 ha creato la sua prima opera famosa Refuge Wear – Habitent: una tenda in tessuto rivestito di alluminio che si trasforma in pochi secondi in un mantello impermeabile. I nuovi tessuti tecnologici sono diventati così veicoli metaforici e strumenti effettivi di protezione, riparo e rifugio dalle intemperie e dall’ostilità dell’ambiente esterno.
Le installazioni della mostra si mostrano come “macchine” collettrici di significati e di pratiche stratificate nel tempo e nella pluralità degli approcci degli artisti. Il lavoro degli Orta infatti si svolge secondo una lunga processualità, più che decennale, che parte da problemi sociali, ecologici, antropologici a cui la politica, la società e i media non dedicano un’attenzione particolare, che invece secondo gli artisti sono urgenze da affrontare. L’acqua ad esempio negli anni Novanta non era sentito come problema, come invece succede oggi nell’emergenza imminente, e quindi gli artisti sono stati dei pionieri.
La pratica degli Orta è stata definita “Operational Ahesthics” da Nicolas Bourriaud in un’intervista del 2003, in quanto riunisce due nozioni: la creazione di modelli e il loro funzionamento. Nell’intervista rilasciata alle curatrici nel catalogo, gli artisti spiegano le quattro categorie con cui si suddivide questa loro estetica: la prima riguarda la segnalazione al pubblico di aspetti problematici della realtà. La seconda, coinvolge un pubblico il più ampio possibile in azioni collettive. La terza, sollecita domande attraverso la creazione di opere e forme sorprendenti e oniriche. La quarta, è costituita dal momento dell’attivazione sociale, politica ed estetica. Gli oggetti funzionano da catalizzatori e avviano processi relazionali.
L’attivismo delle pratiche del duo, in Jorge si esplicita sin dalle sue prime azioni negli anni Settanta in Argentina, che viveva sotto il regime militare in un momento di grande crisi e di censura, ma anche di fermento sociale. Jorge credeva già da allora in un’arte collettiva, nell’anonimato dell’artista, in azioni al di fuori del sistema dell’arte, in una spinta comunicativa e pedagogica che l’arte doveva avere; ha portato avanti relazioni con tutto il mondo attraverso la Mail Art. Trasferitosi in Francia nel 1984, apre degli spazi in cui lavorare a queste pratiche collettive, che con alterne vicende hanno portato all’attuale progetto interdisciplinare e utopico dell’inizio del 2000 di Les Moulins. Allora hanno scoperto la valle del Grand Morin, luogo di nascita dell’industria cartaria francese, punteggiato da cartiere e fabbriche lungo il fiume. I vari Moulins in vendita sono stati salvaguardati dalla demolizione a opera degli Orta, che hanno fondato Les Moulins, elaborando un programma di recupero del patrimonio industriale, da cui è nato un distretto dedicato all’arte contemporanea.
La pratica pedagogica, l’attenzione all’ambiente e alla natura, la crescita relazionale delle processualità estetiche degli Orta li rendono consapevoli eredi della scultura sociale di Joseph Beuys con azioni che si riallacciano anche esplicitamente a suoi lavori come le 7000 querce per Kassel. Anche gli Orta piantano alberi, salvaguardano il territorio in comunione con le comunità della valle. In mostra veniva rilanciato un altro progetto degli Orta, un lavoro utopico riguardante la fondazione in Antartide di Antartica, un villaggio libero, al di fuori di qualsiasi giurisdizione, un luogo di compartecipazione e di pace dove le tende multicolori e la bandiera somma di tutte le bandiere del mondo (presente in mostra in tutte e tre le installazioni) costituiscono un sistema insieme all’Antartica World Passport. Il passaporto si fonda sulla proposta di emendamento all’articolo 13:3 della Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948, ed include il diritto intrinseco alla libertà di movimento.
Tutto il lavoro degli Orta si basa sullo slancio utopico e sulla fiducia in un miglioramento dell’umanità, che come Jorge affermava alla conclusione dell’Art -City Talk nell’Accademia di Belle Arti di Bologna, è in essere. Secondo Jorge vi è un’evoluzione positiva dell’umanità: nella salvaguardia della salute, dell’educazione, nei problemi climatici, finanche nella riduzione delle guerre nel mondo.
Il collezionista Francesco Galvagno ci racconta come nasce e si sviluppa una raccolta d’arte, a margine di un’ampia mostra di…
La Galleria Alberta Pane, 193 Gallery, Spazio Penini e Galleria 10 & zero uno sono quattro delle voci che animano…
Si intitola “Lee and LEE” e avrà luogo a gennaio in New Bond Street, negli spazi londinesi della casa d’aste.…
Un'artista tanto delicata nei modi, quanto sicura del proprio modo d'intendere la pittura. Floss arriva a Genova in tutte le…
10 Corso Como continua il suo focus sui creativi dell'arte, del design e della moda con "Andrea Branzi. Civilizations without…
Tra progetti ad alta quota e una mostra diffusa di Maurizio Cattelan, il programma del 2025 della Gamec si estenderà…