Un’ampia sala espositiva di 140 metri quadrati a Milano, in zona Porta Nuova, negli spazi sottostanti piazza XXV Aprile. Lo spazio è reso unico e particolare dalla presenza dei resti delle mura spagnole del XV secolo, protette da un grande cristallo e che, in questi anni di attività, hanno fatto da cornice alle opere e instaurato un dialogo vibrante e reciproco tra contemporaneo e passato. Segni particolari: esporre artisti nati dopo il 1985. Ne parliamo con la titolare, Federica Ferrari.
Mi tracci un tuo excursus professionale come gallerista?
«All’incirca dieci anni fa l’incontro con una persona che ha segnato l’inizio del mio percorso e la frequentazione costante nel mondo dell’arte. Poi tre anni fa la decisione di aprire un project space, che fosse uno spazio di incontro e di confronto».
Quali sono gli elementi distintivi della tua programmazione espositiva?
«La mission di Tube è quella di esporre e supportare giovani artisti internazionali, spesso agli esordi delle loro carriere e spesso alla loro prima esperienza in Italia, dando voce ad una varietà di punti di vista, raccontando di culture, formazioni e background diversi tra loro e prediligendo la scelta di artisti che utilizzano nuovi aspetti stilistici. Mi è servito molto il confronto con gallerie straniere con sensibilità analoghe alle mie e il dialogo sempre acceso con giovani curatori aggiornati e consapevoli. In questi anni di attività sono stati rappresentati in modo quasi esclusivo la voce e la creatività femminile».
Cosa vuol dire operare da gallerista di contemporaneo a Milano?
«Milano è indubbiamente il centro del mercato dell’arte in Italia e offre in spazi pubblici e privati mostre di livello internazionale. È quindi molto stimolante, ma di conseguenza anche molto concorrenziale, offrendo però occasioni di confronto con chi frequenta e opera nel settore».
Quale sarà a tuo avviso, in questo momento di post-globalizzazione, il ruolo della galleria intesa come spazio fisico?
«La digitalizzazione ha sicuramente consentito di abbattere le barriere della distanza e al mercato di diventare sempre più veloce, dinamico, internazionale e inscindibile da internet, ma credo sia ancora importante confrontarsi di persona con una mostra, un’opera d’arte e un operatore del settore».
Come immagini in questo contesto l’evoluzione della professione di gallerista?
«Il gallerista deve essere una figura sempre più informata, deve muoversi, viaggiare ed essere connessa al mondo con i nuovi strumenti di informazione. Sempre più aggiornata in un mondo che si muove sempre più velocemente».
Si tornerà a una maggiore centralità della galleria rispetto all’escalation delle fiere? Ci sarà un riequilibrio tra la dimensione globale a quella local della galleria?
«Sono modalità complementari che devono coesistere. Credo sia importante avere una dimensione local per condividere progetti e come luogo di incontro per sostenitori che apprezzano e seguono il percorso della galleria. E, allo stesso tempo, avere un’attenzione per il mondo globale di un sistema allargato e internazionale, attraverso nuove strategie in modo da maturare una visione sempre più ampia. Credo che il termine “glocal” sia il più indicato per una realtà che voglia avere un legame stretto sia con il proprio territorio e i collezionisti del mercato interno, e tuttavia coltivare anche il desiderio di presentare i propri progetti in un ambito internazionale allargato».
Quali sono le tue strategie digitali? Utilizzi e-commerce o piattaforme dedicate?
«Utilizzo Artsy come piattaforma dedicata».
Qual è l’identikit del collezionista a cui ti rivolgi?
«Giovane, informato, internazionale e cosmopolita».
Quali sono gli artisti che rappresenti?
«Al momento non rappresento in esclusiva nessun artista, ma cerco di proporre nel mio spazio giovani autori provenienti da ogni parte del mondo che preparano opere appositamente dedicate al tema curatoriale scelto e condiviso. Ho collaborato recentemente con artisti come Laura Berger e Azadeh Elmizadeh nella mostra “Madame, Madame” prodotta con Camilla Previ e curata da Domenico de Chirico e, precedentemente, con artisti come Anousha Payne, Whit Harris, Soko, Dante Cannatella, Olivia Sterling, Jia Yirui che fanno parte del dibattito contemporaneo e partecipano alle fiere internazionali».
Qual è lo stato di salute del contemporaneo in Italia nel pubblico e nel privato? Quali ritieni siano a oggi i suoi punti di forza e i suoi punti deboli?
«Credo che in Italia ci siano pochi musei dedicati all’arte contemporanea rispetto all’importanza storico artista del Paese. E che si debba investire in spazi istituzionali per permettere sempre più ai giovani artisti di confrontarsi in un luogo pubblico, in un museo, un’istituzione, una fondazione. I privati fanno la loro parte, ma credo che si debbano promuovere degli strumenti atti a sostenere il sistema del contemporaneo, come ad esempio l’art bonus che permetta di defiscalizzare l’acquisto e il sostegno di giovani artisti italiani da parte delle aziende private. O l’introduzione di un’iva agevolata per il mercato dell’arte come hanno fatto in Francia».
Un sogno nel cassetto da gallerista?
«Una galleria itinerante, non stanziale e un progetto di residenza per artisti all’estero».
I prossimi progetti in calendario?
«A marzo una collettiva con un confronto (una novità per la galleria) tra un’artista del ‘900 in dialogo con artiste internazionali che hanno delle sensibilità comuni».
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