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Luoghi vissuti o abbandonati, e relazioni da reinventare
Arte contemporanea
Nel contesto di generale desertificazione dell’ambito artistico e culturale che ha colpito musei, teatri e fiere a partire dal Dpcm del 4 novembre 2020, una piccola speranza rimane ancora per le gallerie private delle zone gialle e arancioni d’Italia, le quali hanno ancora la possibilità di rimanere aperte seguendo le misure preventive contro la diffusione del virus.
Nel caso specifico di Venezia in questi giorni sono state inaugurate tre mostre che, nella loro diversità, trasmettono un’esigenza di fondo che riguarda non solo la volontà di muoversi parallelamente all’evoluzione dell’attuale situazione, in modo da trovare nuove possibilità per la proposta artistica contemporanea, ma di poterlo fare in riferimento a un luogo, circoscritto, diffuso o metaforico che sia, e che in qualche modo è legato al rapporto con l’uomo e con l’attuale emergenza.
In questo senso non si può non partire dalla casa, il cui carattere intimo e chiuso è stato accentuato dalla rinnovata relazione che abbiamo dovuto intraprendere con essa a partire dal lockdown, ma che nella mostra “Domino Domi. Se non ora quando? Prima che sia troppo tardi” a cura di Ilaria Mannoni, si apre alla nuova destinazione di spazio espositivo. Il progetto, infatti, inizialmente inteso come serie di eventi sequenziali volti alla presentazione di opere da parte di gruppi di artisti con l’invito di persone esterne – innescando così un effetto domino di coinvolgimenti all’interno dell’abitazione- a causa della nuova emergenza si è trasformato in una mostra collettiva. La casa in questione, un ex studio di architettura al primo piano di un palazzo storico vicino a Rialto, è caratterizzata da atipici spazi e volumi, che rendono l’open space un dinamico gioco su più livelli in cui l’eterogeneo corpus di opere, lo spazio stesso e il mobilio dialogano apertamente. Gli artisti selezionati, Alvise Bittente, Greta Boato, Manuela Kokanovic, Anna Marzuttini, Fabio Ranzolin, Alessandro Sambini, Davide Sgambaro e Francesco Zanatta, nati tra gli anni ‘80 e ‘90, rappresentano le voci di chi ha vissuto e vive tutt’ora l’incertezza di un futuro stabile, le contraddizioni della società e le crisi economiche, attraverso l’uso di linguaggi diversi come installazioni, interventi site specific, disegni e dipinti. Il progetto “Domino Domi, Se non ora, quando? Prima che sia troppo tardi”, espande la propria realtà fisica a quella virtuale, attraverso l’uso dei social network e di un sito web, dove verranno proposte interviste, conversazioni e documentazioni fotografiche.
“BEYOND THE WALL” è, invece, un progetto che nasce a partire da una riflessione sul rapporto che l’individuo sviluppa con se stesso e il luogo in cui vive, e che ha riunito, durante i mesi di lockdown le curatrici Marta Blanchietti e Eleonora Da Col in un laboratorio di creazione con gli artisti Elena Arrica, EGO Serie, Chiara Enzo, Barbara De Vivi, Francesco Piva, Francesco Pozzato e Eva Chiara Trevisan, grazie al fondamentale supporto di Ikona Gallery che ne ospita anche l’esposizione. La domanda su cui si fonda la prima parte del progetto, “Un dialogo tra frammenti e memorie personali” è : Come ricucire insieme i frammenti di esistenze umane e quelli rimasti dei luoghi vissuti? E proprio questi frammenti, legami con luoghi vissuti e azioni umane, nella duplice visione di costruzione e distruzione – anche in riferimento alla precaria situazione di Venezia- si concretizzano in opere di diversa natura, che pezzo dopo pezzo raccontano insieme una forte volontà di ricostruzione. La seconda parte, invece, in linea con il continuo divenire alla base di questa sperimentazione, riguarda il “Percepire Venezia”, con un’altra mostra a partire dal 23 novembre e la creazione di uno spazio esperienziale con la città, attraverso a interventi urbani, tra paesaggio sonoro insieme alla danza, con la collaborazione di Lara Barzon, per attivare un movimento consapevole dentro e verso il luogo vissuto.
Questo passaggio dalle mura domestiche ai luoghi vissuti prevede anche una riflessione sulle rovine, attraverso il progetto “Resti presenti, Rovine future”. La personale di Nicolò Andreatta (Link Hg) presso la Galleria Visioni Altre a Venezia e curata da Adolfina de Stefani, è una mostra che, a partire dalla riflessione sulle rovine architettoniche del territorio italiano e la pratica dell’artista stesso basata sulla creazione di interventi site-specific non invasivi in zone urbane dismesse, ci parla della relazione tra rovine e artista in due epoche differenti: quella contemporanea e del ‘700, a partire dalla consultazione dei primi tre tomi delle Antichità Romane di Piranesi. Il risultato che ne deriva è una serie di interventi a rapido su riproduzioni da libri d’archivio in scala 1:1, in cui piante e vedute di architetture abbandonate delle incisioni piranesiane prendono nuova vita e significato: si aprono delle visioni oniriche e impossibili, in cui la nostra percezione del tempo e dello spazio viene messa in discussione per dare vita a degli interrogativi sulla valenza dell’intervento dell’uomo per la significazione di un luogo. Nella galleria è anche presente un video in cui è possibile vedere l’artista all’opera con alcuni interventi in luoghi abbandonati.