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Luogo Pensiero – Luce. Alfredo Pirri a Pescara
Arte contemporanea
«Luogo di incontro e di lavoro per gli artisti, prima che luogo espositivo, luogo di riferimento per l’arte contemporanea, come una sorta di terra di nessuno necessaria per modulare e realizzare progetti e ossessioni» – afferma l’artista e direttore Enzo De Leonibus – il Museolaboratorio si conferma anche quest’anno un importante punto di riferimento per il dibattito culturale nel territorio abruzzese con la presentazione del progetto Alfredo Pirri. Luogo Pensiero Luce, vincitore del PAC 2022-2023, Piano per l’arte Contemporanea, promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura.
L’opera vincitrice, Compagni e Angeli per Città Sant’Angelo, realizzata dall’artista Alfredo Pirri e visitabile fino al 10 agosto 2024, porta con sé la storia di un lungo e consolidato processo di ricerca, fa parte infatti di un ciclo di lavori intitolati Compagni e Angeli iniziato a Tirana (Albania) più di dieci anni fa, dedicato alla figura del politico e pensatore Antonio Gramsci, incontra ora lo spazio del Museolaboratorio, mostrandone il carattere di materia “viva” pur mantenendo l’autonomia che le è propria. L’opera, il cui titolo è tratto dal brano musicale La Rosa di Turi del gruppo Radiodervish, indaga il tema della prigionia e del desiderio di evasione, con un’attitudine a metà tra realismo e speranza e ben si inserisce nelle vicissitudini storiche del Museolaboratorio che hanno visto l’edificio assumere la funzione di campo di internamento durante il secondo conflitto mondiale.
Un sogno visivo, così la definisce il filosofo Giuseppe Armogida nel testo critico di accompagnamento, dove per sogno si intende non il prodotto di vane fantasticherie da cui farsi trasportare supinamente, quanto l’esito di un pensiero che si protende verso la luce. Facoltà che si rende possibile in quella particolare condizione, quella del “carcerato”, dove il tempo del vuoto scandisce l’esistenza, e l’attesa, tutt’altro che passiva, produce un versamento progressivo, fino al completo svuotamento di sé, che si fa impulso verso un modo di vedere Altro. Ecco che la figura dell’artista e quella di Gramsci vengono ad affiancarsi parallelamente nella condizione del “carcerato”. Si scopre così che ciò che conduceva il pensatore ad accostarsi ai fenomeni cosmici nel tentativo di far crescere una rosa in carcere, è la stessa facoltà del pensiero che conduce invece l’artista a rendere visibile questo spazio dell’attesa, in cui trovano composizione due tensioni opposte e complementari, da una parte il peso schiacciante della detenzione e dall’altro la spinta ascensionale verso l’evasione.
L’installazione, di forma parallelepipeda, ricrea all’interno di una delle stanze del museo, un ambiente di luce che restituisce al visitatore lo spazio angusto della cella di Gramsci durante la detenzione nel carcere di Turi, consentendo allo stesso tempo di oltrepassarne i confini. Tesa tra la spinta ad occupare l’intero spazio e la rigidità di un corpo inaccessibile, l’opera restituisce una cella spazio-temporale, difficile da cogliere a colpo d’occhio nella sua forma originaria, l’espansione di un quadrato, invita piuttosto ad esperirla attraverso un moto circolare. La base, calpestabile dal visitatore solo nella porzione frontale, non si svela completamente allo sguardo ma mantiene in sé un nucleo centrale inaccessibile.
L’attenzione incessante per lo spazio, tanto da portare al conseguimento nel 2023 della Laurea Honoris Causa in Progettazione Architettonica dall’Università degli Studi di Roma Tre, un interesse che l’artista definisce “politico”. In particolare la ricerca, incentrata sulla diade spazio-luce, qui si traduce nella creazione di un vero e proprio ambiente di luce attraverso l’utilizzo del plexiglass realizzato appositamente da una fabbrica marchigiana. A generarsi è uno spazio solido ma permeabile, attraversabile dallo sguardo nelle trasparenze che non nega la vista, bensì la sollecita. Mai uguale a sé stesso nelle imprevedibili velature cromatiche delle pareti in plexiglass, delicatamente ora accoglie ora rifiuta il visitatore che vi si accosta, attraverso un moto oscillatorio simile ad un respiro o una corrente d’aria. Uno spazio inafferrabile.
L’utilizzo delle piume, le pareti in plexiglass sono infatti colorate dall’artista in fase di produzione e impastate con piume conciate di oche già macellate per l’alimentazione, evocano qualcosa di aereo che si libra nello spazio, angeli si potrebbe pensare, non a caso anch’essi esseri luminosi fatti di sostanza pura e sottile, le piume sembrano testimoniarne il passaggio attraverso il residuo di ciò che rimane. L’utilizzo dello specchio a terra, sottoposto a frattura, qui utilizzato come base, sembra partecipare più alla smaterializzazione dello spazio che alla sua amplificazione, l’integrità interrotta della superficie sottile riportata sulle pareti luminose tramite il riflesso, sembra attaccarne ulteriormente la tangibilità. A dialogare con l’installazione, gli acquerelli preparatori, incastonati nella “pelle” della parete come gioielli, introducono una relazione non solo fisica e materiale con l’opera ma anche di ordine temporale, ne rappresentano infatti al contempo la condizione progettuale antecedente e in parte l’aspetto futuro, negli innesti in argento brunito, materiale legato al processo di creazione ed evoluzione materica dello specchio. L’unità spazio-temporale viene infranta e ricostruita, come in un sogno. All’interno di questo spazio-luce, passato, presente e futuro acquisiscono un unico corpo, un’esperienza che potremmo definire trascendentale.