La riapertura dei musei era attesa da tutti. La riapertura però di un museo con mostre nuove, pronte per lo spettatore, è sembrato addirittura un privilegio. É andata così al Macro, che ne aveva in serbo una serie, otto per la precisione, da oggi visibili al pubblico. In questo ulteriore allestimento appare più evidente il discorso fatto dal direttore Luca Lo Pinto fin dal suo insediamento, cioè il desiderio di rendere il museo una sorta di rivista e dunque rendere le mostre degli editoriali. Ognuna a se stante, grandi o piccole che siano, chiedono allo spettatore tempo per capirle ed approfondirle.
Ma stavolta sembra davvero che sia arrivato il tempo per questo museo di aprirsi alla città con un approccio di alto profilo ma con vari distinguo, anche in relazione ad un pensiero rivolto a pubblici diversi. Intanto una grande mostra con le opere di Nathalie Du Pasquier, artista e designer. Con oltre cento opere, dal titolo “Campo di Marte”, indaga sul suo lavoro a partire dagli anni Ottanta, fino ad arrivare alla produzione più recente. Interessante l’approccio e l’utilizzo dello lo spazio espositivo, stiamo parlando della ex sala Enel per capirci, che è stato notevolmente abbassato grazie ad una pittura nera che sembra quasi suddividere le pareti utili dal resto. Una grande mostra, per molti versi anche pop, che ci restituisce molti lavori interessanti, una antologica che sembra una unica mostra, con opere come disegni dipinti, sculture stampe costruzioni, e con delle didascalie scritte proprio dalla Du Pasquier che raccontano meglio ciò che stiamo vedendo.
Volendo proseguire in un percorso ideale, saliamo al primo piano in quella che è la parte che collega la zona vecchia dell’edificio con quella nuova, e troviamo alle pareti ancora i vecchi lavori visti nella precedente mostra, realizzati dalla fotografa Giovanna Silva, con però elementi in più. È questo infatti lo spazio chiamato retrofuturo, dove vengono collocate opere di giovani artisti probabilmente presto in collezione, con comodati o anche con donazioni. Dopo questo percorso in cui troviamo opere di, tra gli altri, Giulia Crispiani, Giorgia Di Noto, Davide Stucchi, al piano superiore vediamo la sala dedicata a Wolfgang Stoerchle. Perseguendo la linea editoriale, e conoscendo l’idea del direttore di tirare fuori dagli armadi artisti bravi ma poco conosciuti ai più, ci troviamo di fronte ad un corpus di opere che ben rappresentano la poetica di questo artista, morto precocemente nel 1976, a soli 32 anni, in un incidente stradale. L’allestimento e la scelta delle opere segue il lavoro di ricerca condotto da Alice Dusapin, che da diversi anni sta lavorando allo studio ed alla comprensione di questi lavori, riuniti assieme per la prima volta in una istituzione. Questo spazio di chiama Aritmici. Arriviamo poi a quella che secondo me è la zona di maggior interesse, un approfondimento fatto in maniera intelligente ed originale di Simone Carella, regista ed animatore del panorama culturale romano, conosciuto dagli addetti ai lavori ma meno dal resto del pubblico.
In questo sala si omaggia la sua fatica, il suo lavoro, le sue tante idee originali, come per esempio il Festival internazionale dei poeti di Castel Porziano. Il racconto della storia di questo personaggio è affidato a due filmaker romani, VEGA, che hanno trovato una chiave originale per restituirci le gesta di questo uomo, assieme ad una interpretazione ritrattistica di Carella fatta da artisti come Rä di Martino, Anna Franceschini, ed Emiliano Maggi. Questa sala si intitola Polifonia. Velocemente le altre sale, una dedicata al graphic designer Boy Vereecken, poi una dedicata interamente alla musica, con la possibilità dell’ascolto dell’intero catalogo di 25 anni della casa discografica Editions Mego, poi una interessante Palestra, dove l’artista invitato pensa-progetta-realizza opere, complete o in fieri. In questo caso il lavoro è di Soshiro Matsubara.
Infine l’ultima sala, chiamata Studio Bibliografico, è dedicata alla rivista Playmen. Un ragionamento visivo sulle sperimentazioni fatte da questo magazine, attraverso la narrativa, il fumetto, la fotografia d’autore, il costume.
Dunque un nuovo modello di museo, dove sperimentare e fare tante cose, con il consiglio tornarci più volte. L’ingresso è gratuito.
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