Marcello Maloberti INDIANO RISERVATO, 2018 Inkjet print, 44x31 cm Courtesy l’artista e Galleria Raffaella Cortese, Milano
Maloberti vive in una dimensione così eternamente eterea, così dannatamente poetica, da riuscire a trasmetterla in ogni minima situazione. Ci incontriamo al PAC, mentre aggiusta – insoddisfatto e maniacale – il suono di METAL PANIC. Andiamo a berci un caffè al LùBar, luogo in cui l’artista praticamente vive da settimane. Maloberti ordina un bicchiere di champagne… un tardo pomeriggio di dicembre si trasforma in una situazione felliniana, altalenante tra il sogno, il poetico e l’ironico. Maloberti comprende pienamente che cosa sia la ricerca forsennata dell’estetica: una bellezza primigenia, originaria, che non è derivata ma è l’ossatura, la struttura vera e propria, dell’approccio alla conoscenza dell’arte. Lui riesce a vivere nell’estetica e a sopportare il peso insostenibile di conoscere una verità così profonda da sembrare indicibile e spaventosa.
La mostra negli spazi del PAC, METAL PANIC, curata da Diego Sileo, sembra trasmettere questa spontaneità disarmante. Tutto è al posto giusto, tutto è necessario. Ogni opera che si trova all’interno degli spazi di Via Palestro lascia un segno indelebile nella memoria dello spettatore che la attraversa. Per chi, come me, è sempre rimasto incantato dalla potenza espressiva della parola, non può che rimanere affascinato di fronte alla pura espressione della poesia. Maloberti assume le istanze proprie di qualunque artista per trasformarle attraverso il suo grande stile: una dolcezza infinita, una delicatezza pedante. Sicuramente, un omaggio a Milano: convulsa, nevrotica, ricca di stimoli, portata alla dispersione; un vortice eterno di commistioni, un perenne movimento sotterraneo e in superficie. A Milano, tutto è amplificato.
L’apertura: il CIELO. Un’opera che lascia senza parole per la sua immediatezza. Come se fosse qualcosa che sta per crollare inevitabilmente sotto il peso della forza di gravità o, forse, sotto il peso della parola – come nella famosa scena di The Young Pope di Sorrentino in cui il Cardinale Caltanissetta (interpretato da Toni Bertorelli) finge di sostenere con la propria mano il peso di Dio. Dunque, in un certo modo, dio e parola sono accomunati dall’imponderabile peso dell’esistenza.
La parola…un sasso che l’artista lancia e che colpisce direttamente il cuore di chiunque legga. Appunto, martellate. Precedentemente raccolte nel volume MARTELLATE (SCRITTI FIGHI 1990 – 2019), in un certo senso, racchiudono integralmente la riflessione di Maloberti sul senso e sull’essenza della parola. Forza inarrestabile, urgente, ma anche presagio della precarietà dell’esistenza. Nella mostra al PAC un aspetto, un dettaglio, diventa massiccio, in un contrasto costante tra pesante e leggero. Scritte o neon arrivano immediatamente senza il bisogno di altro oltre che la loro presenza. Musicalità che sembrano lontane.
Nella lettura personale del pensiero, sembrano gridare all’infinita bellezza dell’esistente.
Nella lettura ad alta voce, si fanno eco ancestrale di una memoria intimamente collettiva.
Potrà sembrare didascalico, ma trovo che Maloberti sia tutto fuorché didascalico: non si può essere dogmatici quando si rappresentano le cose per come sono; non si può essere miopi quando emerge la necessità della realtà. Il dogma è buio, la parola è luce che si irradia senza sosta da un tubo di neon leggero come un macigno accecante e incandescente che sembra troppo per la nostra vista.
In aggiunta, la sua biografia si fa intimità perturbante. FAMIGLIA REALE o FAMIGLIA METAFISICA sono dolcissimi ritratti familiari, accrescono quella malinconia lontana del ricordo. Accresce il suo eco se pensiamo ad alcune martellate dedicate alla madre – MADRE DI CHE PAROLA PIANGI, TI HO MANCATA IN SOGNO MADRE, PER BUTTARE I TUOI ABITI MADRE NON HO MANI.
Pasolini, Carmelo Bene, Kafka, Mazzucconi, Hélio Oiticica, Sironi, Tondelli, De Chirico. Una riflessione profondamente colta in cui riferimenti difformi si accostano diventando una coerenza distesa. Ed è esattamente la concezione, che Aldo Marroni ha sistematizzato, del Grande Stile. L’autore riprende diversi riferimenti – da Nietzsche a Bataille – per descrivere l’atteggiamento di “Dominare il caos che si è, costringere il proprio caos a diventare forma: a diventare logico, semplice, univoco, matematica, legge: è questa, qui, la grande ambizione”. Operazione Complessa, ma immediata; manovra fisica, ma incredibilmente profonda ed esistenziale. L’obiettivo: salvare la realtà, attraverso la parola. In un certo modo, salvare l’esperienza condivisa, salvare la collettività. La parola può essere definita un pretesto per riflettere sullo stato delle cose, sulle mutazioni che investono anche il linguaggio. Ordine naturale (come in Wittgenstein), mentre il resto è caos costante, una fiumana di stimoli e pensieri.
Maloberti riesce ad evocare un altro aspetto della quotidianità che sembra essersi perduto: la ritualità. Che è spirituale, sacrale, poetica, lirica… intima e personale. Nella mostra – cantiere (testimoniata dalla costante attenzione e precisione di Maloberti), o mostra – work in progress, forse, si riesce davvero a riscoprire questa ritualità. Un’epifania, una dichiarazione di poetica. Dunque, che SIA LODATA L’INCONSAPEVBOLE BELLEZZA. Un monito, una forma che sembra ricalcare quella impercettibile della lacrima – CHI MI PROTEGGE DAI TUOI OCCHI. In Brodskij, giusto per esemplificare, la lacrima è intesa come quella specifica condizione della retina, incapace di trattenere la bellezza che ha osservato (in Fondamenta degli incurabili, Adephi, 1991). Una poesia così intensa, della e dalla bellezza pura che Maloberti comunica, che sembra sussurrare… per favore, non farmi piangere. In questa intervista abbiamo ripercorso con l’artista questo progetto attraverso alcune sue celebri MARTELLATE, in attesa di poter osservare il secondo capitolo del progetto del PAC. Maloberti presenta, negli spazi della Fondazione Memoriale della Shoah di Milano, TU SEI LA MEMORIA DELLA MIA NOTTE: una prosecuzione concettuale della sua riflessione sulla memoria, intesa come pratica poetica collettiva, in un dialogo serrato con Liliana Segre.
Alcune confezionate ad hoc per le domande, altre meticolosamente selezionate e riprese dall’artista, in un brevissimo percorso narrativo che sembra, tuttavia, esprimere e toccare i punti fondamentali della pratica punk dell’artista.
Cos’è il METAL PANIC?
MEZZO SOGNO MEZZA CONDANNA
Che cos’è il Genius Loci?
SPORCARSI CON LA REALTÀ
Che cos’è la realtà?
IL REALE È SEMPRE DI TRAVERSO
Cos’è il CIELO?
IL CIELO È IL RESTO DEL MARE
Perché il peso della Parola?
OGNI MIA PAROLA È UN ALLARME
Perché la Parola?
USCIRE DALLA PAROLA È POESIA
Cos’è, ancora, la Parola?
LA PAROLA È IL SOGNO DELLA VOCE
Dove si trova il caos?
DOPO LA NOTTE DOVE PIANGONO LE AQUILE
DI TROPPO MONDO MUORI
AI CADUTI D’AMORE
Cos’è la precarietà dell’esistenza?
CARNE O CUORE
Perché le MARTELLATE?
BALBETTARE È ORO
Cosa sono le MARTELLATE?
SCRITTI FIGHI
Perché la bellezza?
CERCHIAMO LA BELLEZZA PERCHÉ È MADRE
Quale è la tua urgenza?
L’ARTE È IN UN MOMENTO CHE DEVE DIRE E NON MOSTRARE
Perché il sacro?
IL SACRO È L’INCIAMPO
Perché FAMIGLIA METAFISICA?
IL MIO NOME HA LA VOCE DI MIA MADRE
Perché il vuoto?
IL VUOTO È L’AMORE DI DIO
Perché dio?
DIO AIUTAMI A FARMI VITA
Perché il sogno?
IL SOGNO HA SEMPRE FAME
Perché la notte?
SENZA SAPERLO LA NOTTE IMMAGINAVA IL GIORNO
Quale è lo stato del mondo?
LA PIOGGIA HA PERSO IL SUO RUMORE
Come salvare il mondo?
LA GENTILEZZA È PUNK
E, comunque, MARCELLO MALOBERTI È UN FIGO.
AMEN
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