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Marco Bagnoli, alchimia di luce e pietra: la mostra alla Reggia di Caserta
Arte contemporanea
L’artista Marco Bagnoli (Empoli, 1949) presenta, alla Reggia di Caserta, una mostra intitolata La pietra il sol rivegga, a cura di Marina Guida, con la collaborazione dello Studio Trisorio di Napoli e della Galleria Giorgio Persano di Torino, visitabile fino al 23 settembre 2024. Il titolo riprende le parole scritte da Luigi Vanvitelli sulla prima pietra del palazzo reale ed è di ispirazione per un’opera monumentale, allestita nel cortile del Palazzo, Locus Solis, alta quasi cinque metri e composta da un vaso che ruota su se stesso. Nelle sale espositive interne della Gran Galleria sono presenti 11 opere, tra cui Nel paesaggio di Xvarnah, con sette disegni del 2019 in cui emergono particolari suggestioni nate dall’interesse per il mondo indo-iranico. Senza titolo (Fontana) è una piccola mongolfiera in acciaio e vetro che è pronta a elevarsi ed espandersi tra apparizione e trascendenza. Inoltre è anche presente l’opera Aleph in due varianti, una sorta di tributo a Jorge Luis Borges e Giovanni Keplero.
Per un artista contemporaneo non è facile confrontarsi con la grandiosità della storia, nel caso specifico, della Reggia di Caserta, sia per la dimensione dell’edificio monumentale che per la memoria del luogo e dell’antico. Da sempre impegnato nel dialogo tra la scultura e l’ambiente, Bagnoli ha realizzato vari interventi site specific per luoghi dalla forte connotazione storica e religiosa, oltre che presso importanti musei pubblici e fondazioni private, richiamando l’attenzione di prestigiose istituzioni italiane e internazionali, che hanno dedicato all’artista mostre di grande prestigio.
All’interno del cortile della Reggia è presente l’opera Locus Solis, un’assonanza con l’opera letteraria Locus Solus di Raymond Roussel, un bianco vaso sonoro squarciato d’oro, attorniato a terra da pietre di alabastro, con un esplicito rimando alla precessione degli equinozi e della luce. Un “locus solis” in cui il sole irradia l’architettura e si concentra sul grande vaso di alabastro, ma anche un “locus solus”, ovvero, un luogo solitario, da essere solo immaginato. A tal proposito, l’artista precisa, «è un segno che mi ha colpito. Rimanda a una maturazione del minerale nella miniera. Il bianco albeggiare dell’alabastro scolpito avvolge l’oro disteso sul rosso cinabro dipinto».
Marco Bagnoli non è nuovo a questi confronti con l’ambiente e con diverse culture e tradizioni. Dall’inizio degli anni Settanta il lavoro dell’artista si è articolato fra idea, scultura e installazione ambientale, unendo pratiche apparentemente divergenti di tipo scientifico e estetico, coniugando l’esperienza fisica con la dimensione metafisica, la razionalità matematica con l’incertezza visionaria, in un procedere imprevedibile di inaspettate opere che invitano l’osservatore alla riflessione dell’esistenza e della realtà. La sua ricerca si è appostata sul crinale impervio e ignoto dell’immaginazione, tra armonia e vertigine estetica, tra indagine cosmica e spirituale, in un procedere assorto alla ricerca di mitologie e giardini ancora sconosciuti.
Secondo la curatrice Marina Guida, la ricerca dell’artista «È una sorta di viaggio, delle idee, delle visioni, nel tempo e nello spazio, verso una maggiore comprensione dei meccanismi della natura e dell’universo». Infatti, l’opera ambientale Locus Solis, altera la dimensione conosciuta del reale per divenire, tra spazio e tempo, apparizione e luogo solitario dell’incoscienza metafisica. Si direbbe un viaggio solitario dell’invisibile, in cui smarrirsi per ritrovare il cosmo e dove l’opera esplora avidamente il pensiero di un momento sfuggente per incarnare il corpo, la luce e anche una possibile nuova dimensione della vita.
Tutto il lavoro di Marco Bagnoli nasce per analogia poetica, per tale motivo non può essere semplicemente descritto ma solo immaginato dentro i meandri della mente dove si nascondono le emozioni, perché nella poesia non vi è nessuna logica e neanche certezza. Un necessario procedere oltre il confine e dentro la memoria a indagare l’infinito e l’invisibile con la pietra che, ora, può rivedere il sole in un albeggiare di memorie antiche e con l’arsa e bianca materia cavata divenuta anche meraviglia.
Nell’immensa distesa dei Borbone, ci appare misteriosa e fiera, la bianca pietra che finalmente si desta dal buio inquieto, con il rosso cinabro che accende l’oro e anche il paesaggio e con una coltre vellutata di petali sparsi che inondano di mistero il creato. Si diceva, trame metafisiche di essenze oscure, in cui l’invenzione si integra con il cosmo in un apparire inquieto che fa rinascere le passioni dell’anima di chi, curioso, cerca insistentemente la vita, indagata dentro il cupo torpore silente della memoria per essere ora anche compresa.