Luogo di sperimentazione, di dialogo, confronto e diffusione dell’arte contemporanea, il nuovo spazio espositivo pianobi, nel quartiere Quadraro di Roma, nelle intenzioni della fondatrice e direttrice Isabella Vitale, si colloca come realtà indipendente e sinergica, aperta alle visioni e ricerche artistiche contemporanee, sia nazionali che internazionali, intersecante progettualità, linguaggi e forme eterogenee, nella sua identità duplice di atelier e spazio espositivo.
Un avamposto che intesse un rapporto cooperativo, distensivo nella pratica e nell’esperienza sensibile, riflessivo e raccolto, accogliente e catalizzante, pianobi traspone in un approccio contemporaneo l’impronta e la fascinazione dello studiolo rinascimentale unita ad una progettualità di residenza artistica e alla coerenza, essenzialità e chiarezza estetica della sala espositiva: questi i due ambienti attigui che lo caratterizzano.
Prima esposizione ad inaugurare lo spazio, la personale di Marco Emmanuele “Ibidem” (Adesso e nell’ora della mostra) si muove nei territori del simile e dell’affine, in un richiamo al formulario sacrale, all’indicalità e citazione di un contenuto allegorico, di una unità e identità materica che ripete un’origine leggendaria, come evidenzia il titolo, dove l’evocazione di un luogo prende sostanza avverbiale e allusiva.
In un ritmo scandito fin dalla soglia d’ingresso, la mostra diviene spazio di poetiche sacralità laiche che accolgono il fruitore in variazioni iconologiche e simboliche, rituali e archetipiche.
L’opera site-specific Ibidem, composta da tre elementi in resina e vetro, è diaframma di luce che prelude l’entrata, aura mistica che dà eco sottile, diffuso e armonico alla percezione dell’interno, in un dialogo contemplativo alternato e susseguente con l’opera Iso#42 che si scorge tra le fenditure del vetro, forse causate dall’esuberanza e veemenza di uno scontro con un toro, protagonista dell’opera che gli succede.
Un gioco di luce filtrante cattura piccole schegge di vetro colorato, incluse nelle trasparenze e opacità della struttura resinosa, entrambe sostanze liquide coagulate e lavorate nel fuoco in un rimando alla trasformazione alchemica nel passaggio di dissoluzione e ricomposizione, nel principio del “solve et coagula”.
Nell’opera Iso#42 un nuovo processo di simbolizzazione si forma grazie ad una miscellanea visiva di iconografie, metafore, miti, topos e allegorie.
Il toro, simbolo di una forza vitale inarrestabile e penetrante, venerato come divinità o celebrato nei rituali sacrificali da innumerevoli culti antichi – dal sacro Api in Egitto ai culti mitraici, dai miti greci alle cosmogonie zodiacali, dalla tauromachia cretese alla simbologia cristiana – viene accolto nell’iconografia della Caritas, accudito e allattato da una donna vestita dei toni del blu, dell’azzurro e del verde, i cui panneggi si gonfiano in un movimento ondoso legato alla materia stessa di cui si compone l’opera: il vetro lavorato dal mare, raccolto e macinato per essere composto in una rappresentazione figurale minuziosa.
L’artista nei frammenti di vetro e nella sabbia, recuperati entrambi dalle spiagge siciliane, torna a costituire un’unione tra la sostanza minerale e la sua scaturigine, descritta già da Plinio il Vecchio nella Naturalis Historia come scoperta fortuita dovuta a fuoco, silice e sabbia.
Nell’opera Nettascarpe il percorso contemplativo compiuto nella fruizione lascia tracce visibili incastonate nell’oggetto in ferro: i sassolini di vetro divengono testimoni del passaggio di un “adesso”, dell’ora e del qui che si avvera in una lettura immediata, immanente, inevitabilmente modificata ad ogni ingresso, plurima nei richiami e nelle nuove possibili riflessioni e trasformazioni mitiche, simboliche, allegoriche e iconologiche, come descritto dalla curatrice Isabella Vitale nel testo critico che accompagna la mostra: “un misticismo effimero, che lascia il tempo che trova, come trapela dal titolo. Ora, in questo luogo e in questo momento, lo stesso per tutti, ma per tutti diverso”.
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