Nel titolo “Il tempo dell’incalcolabile” della mostra dedicata a Maria Lai (1919-2013) a cura di Alberto Salvadori in collaborazione con l’archivio Maria Lai ospitata nella galleria M77 a Milano, c’è il senso del progetto espositivo che prende vita da una lettura delle opere di Salvatore Cambosu, scrittore e amico dell’artista sarda, dalla quale proviene Cuore mio, racconto che narra la storia di Maria Pietra.
Vedere, narrare e sentire s’intrecciano al piano terra della galleria con un allestimento scenografico di 33 piccole sculture in ceramica appollaiate come reperti fossili di un epoca nuragica immaginata su piedistalli in ferro appartenenti alla serie dei Telai di Maria Pietra assieme a teli degli anni Novanta appesi al soffitto e disposti lungo alla parte che perimetrano lo spazio. Al centro spicca una bacheca minimalista rettangolare nella quale è custodito il prezioso Libro di Maria Pietra (1991) che narra il racconto in bilico tra fiaba e leggenda nel quale magia e realtà, nella cultura popolare e nell’immaginario di Maria Lai si mescolano; fonti basilari della ricerca dell’artista.
In questa prima sala espositiva risuona come il canto delle sirene una voce suadente ma incisiva che narra la vicenda leggendaria di Maria Pietra, una veggente dotata di poteri sconosciuti; si ascolta il racconto di una madre che accetta di diventare pietra per strappare il suo bambino dalla morte. Maria Pietra, artigiana del pane, è una metafora dell’artista. Le sue mani possono manipolare una materia, trasformare il mondo e il segreto sta nel saper usare i propri poteri. Come Maria Pietra riuscirà a non impazzire dal dolore dopo la morte di suo figlio si capisce ascoltando e guardando la mostra struggente e poetica al tempo stesso. In questa leggenda, metaforicamente, c’è l’urlo straziante di tutte le madri del mondo di ieri e di oggi, che nella morte del proprio figlio possono rigenerarsi nella creatività o nella speranza di cambiamento, trasformando il dolore in punto di forza.
Connessione tra sacro e cultura popolare, ricerca dell’origini e recupero della memoria sono i temi ricorrenti nel lavoro di Maria Lai, autrice dagli anni Settanta di “libri cuciti”, è documentata anche al secondo piano della galleria, dove incanta la serie di fotografie di Berengo Gardin, esposte per la prima volta, che ritraggono i momenti più significativi della celebre opera pubblica Legarsi alla Montagna (8 settembre 1981) condivisa dagli abitanti di Ulassai. Fu un evento che ha segnato fortemente la comunità sarda e il mondo dell’arte. Questa opera pubblica realizzata nell’arco di una giornata a Ulassai (Sardegna), dove l’artista è nata si origina dall’humus della cultura popolare con il fine di interrogarci sul significato della parola comunità. Dopo un lungo periodo di gestazione e di dialogo con i concittadini, l’artista lì ha indotti a guidare il paese con un simbolico nastro azzurro, il cui capo fu portato in cima alla montagna.
L’azione fu vissuta dalla comunità quasi come una processione popolare in cui i bambini erano i protagonisti. La leggenda popolare del nastro celeste diffusa in paese, narra di una bambina che rincorre la sua apparizione, salvandosi miracolosamente dal crollo do una grotta. Questo racconto divenne per l’artista metafora della valenza salvifica dell’arte, capace di immaginare nuovi mondi. Su invito di Maria Lai, le persone legarono dei pani decorati e fecero nodi al filo disteso tra casa appartenenti a famiglie legate da relazioni di amicizia. Dove non c’è questo segno, manca la relazione. Come lo testimoniano le foto esposte in rigoroso bianco e nero, ravvivate da un nastro di colore azzurro dipinto da Maria Lai. Con Legarsi alla montagna, la scrittura per l’artista divenne pubblica e spaziale; una forma di tessitura-scrittura comunitaria e non più soltanto personale come nei suoi “libri cuciti”, aprendo riflessioni sulla responsabilità etica e sociale dell’artista.
Conclude la mostra il film documentario Legare e collegare di Tonino Casula, in cui il tema della comunità, l’operare in e per il territorio con il fine di un possibile recupero della memoria identitaria , è un fare condiviso necessario per gli artisti di ieri e di oggi.
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